The Freewheelin’ Bob Dylan
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1. Blowin’ in the Wind 2:47
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2. Girl from the North Country 3:20
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3. Masters of War 4:31
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4. Down the Highway 3:24
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5. Bob Dylan’s Blues 2:21
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6. A Hard Rain’s A-Gonna Fall 6:52
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7. Don’t Think Twice, It’s All Right 3:39
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8. Bob Dylan’s Dream 5:01
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9. Oxford Town 1:48
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10. Talkin’ World War III Blues 6:25
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11. Corrina, Corrina 2:44
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12. Honey, Just Allow Me One More Chance 1:58
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13. I Shall Be Free 4:47
“La scena musicale americana tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio dei sessanta era piuttosto sonnolenta. Le radio commerciali perpetuavano una sorta di immobilità permanente, piene com’erano di vuote piacevolezze.” Queste parole scritte da Dylan nel primo volume della sia autobiografia “Chronicles Vol.1”, definiscono perfettamente una scena musicale che dopo aver veduto svanire l’esuberanza di Elvis Presley, placarsi la follia visionaria di un convertito Little Richard e pianto Buddy Holly perito in un incidente aereo, stentava a riprendersi ed intravedere nuove potenzialità. Ancora pochi anni e dall’Inghilterra sarebbero arrivati i Beatles e i Rolling Stones; grazie a loro la scena musicale e l’industria del disco avrebbero trovato una nuova spinta creativa ed espansioni commerciali inimmaginabili. Proprio il Dylan che racconta quell’ambiente sonnolento, avrebbe offerto una prima indicazione verso un possibile futuro nel suo secondo album pubblicato nel maggio del 1963.
“Freewheelin’ Bob Dylan” è sempre stato descritto come un lavoro folk e decisamente questa collocazione formale è più che condivisibile, eppure a dispetto di una discreta produzione di materiale folk concomitante, in quel lontano 1963, “Freewheelin’ Bob Dylan” si manifestava come un qualcosa di estremamente moderno ed innovativo.
La forma canzone nella maggior parte delle tredici tracce dichiarava un superamento della tradizione attraverso una struttura più libera, una visione meno conservatrice, un approccio vocale inconcepibile prima di lui, una musicalità che è possibile definire soltanto con il termine: moderna. La pedanteria, la prevedibilità e l’ipocrisia di alcuni testi appartenenti ad una vecchia pratica e visione della canzone di protesta o di sfondo sociale, era stata decisamente stravolta. La canzone di protesta non l’aveva certo escogitata o rispolverata Dylan, anzi, lui negava perfino di scrivere in quella direzione, eppure in quegli anni di lotte per i diritti civili, anni di una fobica paura per una possibile guerra nucleare, lui aveva usato un linguaggio diverso per raccontare storie che declinate con il suo timbro vocale rasserenante, venivano recepite in una maniera totalmente diversa rispetto al passato. “Freewheelin’ Bob Dylan” raccoglieva per la prima volta canzoni di cui il cantante era anche autore (eccetto ‘Honey, just allow me one more chanche’ adattamento di un traditional già rivisto da Henry Thomas); il processo creativo era durato più di un anno ed anche le registrazioni si erano protratte, con varie, lunghe sospensioni, tra l’aprile del 1962 e l’aprile del 1963. Molto si è parlato della copertina dell’album, forse una delle più emblematiche dei primi anni ’60: Dylan è ritratto a braccetto con Suze Rotolo, la ragazza che aveva conosciuto nel luglio del ’61 e l’incontro con la quale così racconta in “Chronicle Vol.1”: “Fin dal primo momento non riuscii a staccarle gli occhi di dosso. Era la cosa più erotica che avessi mai visto. Aveva pelle chiara e capelli d’oro, italiana purosangue. […] La freccia di Cupido mi era sibilata accanto alle orecchie anche precedentemente, ma questa volta mi colpì dritto al cuore…”. L’intera gestazione di “Freewheelin’ Bob Dylan” attraversa una insanabile crisi tra un musicista proiettato verso il riconoscimento della sua attività di cantante autore e la necessità di Suze Rotolo di non annullarsi nel rapporto con lui, mai infatti avrebbe lei rinunciato al proprio ruolo di attivista politico, all’insegnamento, alla pittura a quella inalienabile autonomia che Dylan troppo spesso, almeno a suo dire, tentava di soffocare. Suze partirà per un lungo viaggio in Italia e il dolore per quel distacco logorò il musicista per parecchi mesi, mesi nei quali scrisse canzoni, poemi, affinando anche quello stile chitarristico troppo spesso ignorato dalla critica e soprattutto trascurato da chi di chitarra scrive o ragiona. L’album apre con un brano divenuto simbolo di molte lotte e battaglie, ma essenzialmente emblema del pacifismo e dei pacifisti: ‘Blowin’ in the wind’, alza immediatamente il livello del discorso musicale in un album che si mantiene coerente per tutta la sua durata, denso, teso, coeso e concentrato fino a divenire positivamente monolitico. Quando in ‘A hard rain’s a-gonna fall’ affronta il tema del nucleare, il tono non è profetico né apocalittico, Dylan sembra voler dialogare con il suo pubblico senza provocare ansie o attese negative, sebbene impieghi nel cantare una intensità intimidatoria tipicamente biblica. E’ oramai acclarato che il brano fu scritto con tempestiva preveggenza quasi un mese prima della crisi dei missili sovietici a Cuba da cui il discorso televisivo alla nazione del Presidente John Kennedy, il 22 ottobre 1962, e la quarantena attorno all’isola. Dal giugno del 1962, fino al gennaio del 1963 Suze studierà in Italia, a Perugia e un Dylan palesemente devastato scriverà una ‘Down the highway’ dove il riferimento all’assenza dell’amata è palese quando intona: “E l’oceano ha preso la mia ragazza / la ragazza che mi ha strappato il cuore / ha infilato tutto in una valigia, e Dio mio, in Italia l’ha portato, in Italia.” Anche un altro brano divenuto classico sembra ispirato al distacco da Suze: ‘Don’t think twice, it’s all right’, nel quale già il caustico titolo ‘Non starci a pensare, va tutto bene’, prelude forse all’abbandono dell’amata intuibile in questi versi: ‘Una volta ho amato una donna, una bambina, mi dicono / le ho dato il mio cuore, ma lei la mia anima voleva / ma non starci a pensare, va tutto bene’. La foto di copertina era stata scattata dal fotografo della Columbia Records, Don Hunstein, a pochi passi da dove i due vivevano. Era il febbraio del1963, Suze Rotolo era da poco rientrata a New York, i rapporti tra lei e Dylan erano tesi, e di lì a poco l’inevitabile separazione li allontanò per sempre. A margine di questa storia d’amore che di certo non è centrale nel discorso del disco, ma l’ha sicuramente influenzato e indirizzato, rimangono le riflessioni di un Dylan che come cita il titolo dell’album “parla a ruota libera” prefiggendosi di raccontare quello che accade dietro le quinte, senza mai voler offrire soluzioni o facili interpretazioni, semplicemente indicando che un problema esiste e che ognuno quel problema dovrà affrontare. Qual è il problema? Porsi questa domanda è probabilmente lo scopo ultimo dell’intero lavoro che Dylan ha iniziato a donare ai suoi ascoltatori con “Freewhellin’ Bob Dylan” ed ancora oggi continua ad elargire. L’approvazione incondizionata del suo pubblico, il desiderio più volte esternato di voler seguire fedelmente Dylan tra cambiamenti di rotta ed alterni umori, il rispetto per la sua volontà di mantenere in vita i propri brani anche attraverso una destabilizzante, continua rilettura, hanno probabilmente partecipato a determinare nel cantante autore quell’atteggiamento o meglio, quella posa, da sempre assunta, che gli consente di non spiegare mai, volutamente e dichiaratamente, i testi delle proprie canzoni.