Street-Legal
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1. Changing of the Guards 7:03
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2. New Pony 4:39
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3. No Time to Think 8:22
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4. Baby, Stop Crying 5:19
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5. Is Your Love in Vain? 4:32
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6. 5:42
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7. True Love Tends to Forget 4:14
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8. We Better Talk This Over 4:03
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9. Where Are You Tonight? (Journey Through Dark Heat) 6:16
“Street legal” è uno strano oggetto. Quando uscì, sul principio dell’estate del ’78, i giornalisti inglesi lo apprezzarono, quelli americani lo criticarono, entrò in classifica e negli anni seguenti fu dimenticato. Contiene un pezzo da greatest hits, molti brani strani per il suo autore e alcune canzoni minori, se paragonate ai grandi capolavori del passato. Merita però d’essere riascoltato e ampiamente rivalutato. Contiene l’essenza di Bob Dylan in sala di registrazione, la sua ricerca per approssimazione di un sound, trionfi ed errori compresi. Riflette il periodo turbolento attraversato dal musicista dopo il divorzio dalla moglie, cui aveva dedicato la canzone “Sara” e una dozzina d’anni prima il capolavoro “Sad eyed lady of the lowlands”. E fotografa il periodo di transizione fra i lavori del passato e il periodo cosiddetto religioso.
Reduce dal tour documentato dal film “Renaldo e Clara”, e dalla pubblicazione di due grandi dischi come “Blood on the tracks” e “Desire”, nel 1978 Bob Dylan cambia di nuovo strada e rimette mano al suono. Non si sentono più le meraviglie acustiche di “Blood on the tracks” e nemmeno i suoni zingareschi di “Desire”, ma un sound possente, fra rock e soul, con i sassofoni di Steve Douglas e i cori femminili di JoAnn Harris, Helena Springs e della futura moglie Carolyn Dennis, cori che per alcuni anni ne caratterizzeranno le incisioni. “Street legal” segna il ritorno al rock elettrico, ma non ha niente a che spartire con l’epopea di metà anni ’60. È, piuttosto, il tentativo di catturare in modo istintivo il suono di una big band. Come disse qualcuno, era una sorta d’incrocio fra Bob Dylan e Phil Spector.
Il sound non è definito, è sporco e lievemente caotico, dà l’idea che queste canzoni siano state eseguite in un’atmosfera di incertezza. “Street legal” nacque dall’idea di pubblicare un disco dopo il tour giapponese che avrebbe dato vita al live “At Budokan” e soprattutto prima del giro di concerti in Europa. La registrazione diventò perciò un’appendice delle prove con la band. Vi furono due session, una di quattro giorni e una di tre appena. Si tennero non in un tradizionale studio di registrazione, ma ai Rundown Studios di Dylan, in sostanza una sala prove a Santa Monica trasformata in sala d’incisione grazie a un impianto mobile. La cosa fa pensare al desiderio dell’artista di catturare un suono vivo e pulsante, senza indugiare in sovraincisioni. In realtà, la brevità delle session era anche o soprattutto una necessità: dava modo ai musicisti di riposare prima del tour europeo. Non tutti lo amarono e Jon Pareles di Crawdaddy! scrisse che Dylan aveva “ancora bisogno di un produttore”.
David Mansfield, che vi suonò mandolino e violino, ricorda la difficoltà di microfonare gli strumentisti, col risultato che in sala il suono era favoloso, su disco meno brillante. Un’altra scelta controcorrente consiste nell’iniziare l’album con un fade-in, uno stratagemma utilizzato raramente. Dylan lo sceglie per introdurre “Changing of the guards”: è come se la canzone stesse già suonando e noi ci sintonizzassimo in quel momento, cogliendone un frammento di sei minuti, una sensazione rafforzata dal carattere ciclico della composizione, scandita dalle strofe cantate da Dylan e dall’assolo di sassofono di Douglas che funge da ritornello e sipario che si apre per nuovi versi. Pubblicata anche su singolo, la canzone venne interpretata come un’allegoria degli ultimi sedici anni di vita dell’artista.
“Street legal” è il disco in cui Dylan s’accosta a certi modi della black music, del soul e del gospel, inaugurando un percorso d’avvicinamento che sarà parallelo alla conversione al cristianesimo. L’amore è un tema ricorrente del lavoro e non senza controversie. Per via di un passaggio del testo di “Is your love in vain?” in cui lui chiede a lei “Sai cucinare? Sai cucire?”, Dylan fu accusato di maschilismo. Il celebre critico e dylanologo Greil Marcus scrisse su Rolling Stone che l’artista parlava come un sultano che ispeziona le serve destinate a entrare nel suo harem. E invece c’è un’amarezza mista a dolcezza in queste canzoni, le cui melodie sembrano fluttuare nell’aria con un tono d’intensa commozione. Allegorie come quella del blues “New pony” si mischiano a racconti diretti come “Is your love in vain?”, testi visionari come quello di “Where are you tonight” convivono con appelli accorati sul modello di “Baby, stop crying”. Non è il Dylan migliore, ma è uno dei più emozionanti.
Anche la voce stava cambiando. Il timbro nasale degli ultimi album lasciò spazio a un altro modo di cantare più sporco, forse meno impressionante, ma adatto a queste storie. Dedicato a Emmett Grogan, membro del collettivo di attori-attivisti di San Francisco chiamato Diggers, scomparso poco prima delle registrazioni, “Street legal” ottenne molto successo nel Regno Unito, dove il Melody Maker e il New Musical Express ne scrissero come di un grande album, uno dei migliori del Dylan anni ’70. In America diventò disco d’oro senza però entrare nella top 10. Era la prima volta, dai tempi del boom del folk revival, che Dylan non entrava nei primi dieci. Anche nella musica era in atto un “cambio della guardia”.