It Had To Be You… The Great American Song Book
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1. You Go To My Head 4:17
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2. They Can’t Take That Away From Me 3:26
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3. The Way You Look Tonight 3:49
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4. It Had To Be You 3:24
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5. That Old Feeling 2:55
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6. These Foolish Things 3:48
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7. The Very Thought Of You 3:20
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8. Moonglow 3:33
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9. I’ll Be Seeing You 3:51
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10. Every Time We Say Goodbye 3:28
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11. The Nearness Of You 3:01
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12. For All We Know 3:25
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13. We’ll Be Together Again 3:55
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14. That’s All 3:05
Con l’aiuto di due producer d’eccezione, i veterani Clive Davis e Richard Perry, Stewart ha voluto giocare con i grandi classici della canzone americana, accostando il suo graffio distintivo ad alcune delle più belle composizioni interpretate da voci illustri nel corso dei decenni. Un esperimento riuscito che finisce per svelare contemporaneamente due eterne giovinezze: quella di perle insuperabili di raffinatissima musica popolare, e, soprattutto, quella di una rockstar matura ancora in grado di tenere in pugno la scena con inveterato trasporto.
You Go to My Head: Il viaggio nel tempo in compagnia di Rod Stewart comincia dai tardi anni Trenta, 1938 per la precisione, quando tra i grandi classici in fioritura spuntò anche la magnifica You Go to My Head. L’atmosfera è, fin dai primi istanti, quella di una scintillante epoca perduta. La voce di Rod Stewart si modella sull’elegante arrangiamento orchestrale tracciando, insieme alla musica, immagini sognanti in bianco e nero: lustrini e champagne, lussi dolcissimi a ritmo di un jazz lontano.
They Can’t Take That Away from Me: Di appena un anno più “grande” è il secondo classico, uno dei capolavori firmati George & Ira Gershwin. Si tratta di They Can’t Take That Away from Me, dichiarazione d’amore eterno portata al successo da Fred Astaire e poi interpretata dalle più grandi voci immaginabili. Da Billie Holiday a Frank Sinatra, passando per Sarah Vaughan ed Ella Fitzgerald: è ora il turno di Rod Stewart, in grado di vestire il pezzo d’un abito tutto personale, grazie all’inconfondibile voce rauca. Un abbinamento insospettabile, ma sorprendentemente calzante, ad una musica che si muove seguendo i vecchi passi, i più fastosi, i più indimenticabili.
The Way You Look Tonight: Non poteva mancare uno dei protagonisti indiscussi del pantheon dei grandi standard jazz, il capolavoro di Jerome Kern e Dorothy Fields The Way You Look Tonight. La canzone, che pare la definizione stessa di “senza tempo”, conosce ancora una nuova vita nelle mani di Rod Stewart. Parte da un inizio raccolto, tasti di pianoforte elegantemente sfiorati, per poi sfociare a colpi di contrabbasso in un mare di finissima seduzione. La voce è romanticamente trattenuta, ispirata e magica: spunta come da un vecchio grammofono, emozionante col suo tocco di velluto.
It Had to Be You: Ancora più antiche sono le radici della canzone che dà significativamente il titolo all’album, l’ammaliante It Had to Be You. La sua composizione risale infatti al 1924, anche se il suo fascino si presenta decisamente immutato. Attraverso parole tese ad un amore che sa di predestinazione – il testo scritto da Gus Kahn è una suggestiva declamazione della dolce ineluttabilità del destino – Stewart sembra cantare il suo fatidico appuntamento con questi grandi classici che finalmente, con una carriera ormai trentennale alle spalle, si trovava ad ammantare di nuovi bagliori.
That Old Feeling: Segue un grande successo del 1937, l’incantevole That Old Feeling. Associata a numerosi film nel corso dei decenni, la canzone descrive una vecchia passione non sopita, che torna a riaccendersi al momento di un inaspettato nuovo incontro. La sorpresa di uno sguardo, e la storia ormai chiusa nel passato torna di prepotenza a bruciare. Rod Stewart interpreta il ruolo di innamorato in preda al fato con una squisita delicatezza di straordinaria potenza romantica, aiutato dal torpore della musica e da un maestoso assolo di tromba.
These Foolish Things (Remind Me of You): E’ poi il turno di un brano che in una selezione di grandi standard non può mai mancare: These Foolish Things s’avvia imponente ed ammaliante come sempre, trascinata da un contrabbasso solenne. Stewart fa sua una melodia che è cresciuta nelle mani e nelle corde dei più grandi interpreti di tutti i tempi. L’atmosfera è ancora una volta semplicemente magica, in balia di una musica irresistibile, con l’intervento suadente di sax pronto a dare il colpo di grazia.
The Very Thought of You: Un’onda sospesa di archi in movimento, qualche carezza al pianoforte, ed ecco Rod Stewart accennare un’inconfondibile melodia dal sangue blu. Prende così il via The Very Thought of You, capolavoro di dolcezza struggente. Il delicatissimo graffio della voce di Stewart è seguito da un magico accrescimento strumentale: la canzone comincia a librare nell’aria, persa in una danza lenta e pensosa, sospirante e sensazionale, avvolta in un fascino denso che non conosce confini o tempo.
Moonglow: Risale al 1933 la composizione di Moonglow, opera del triplice ingegno di Will Hudson, Irving Mills e Eddie DeLange (quest’ultimo autore del testo). Un’intrigante introduzione di pianoforte avvia il brano, riletto da Rod Stewart con uno charme fedele alle origini e alla storia del pezzo. Riesce così a trasparire, come per magia, il fatato bagliore di luna che ispira la canzone, bagliore complice e fautore di un’indimenticabile storia d’amore.
I’ll Be Seeing You: Di cinque anni più giovane di Moonglow, I’ll Be Seeing You aveva fatto la sua comparsa all’interno dello sfortunato musical Right This Way. La bellezza del brano si dimostrò presto ben più forte del suo originale contesto: I’ll Be Seeing You ha conosciuto a partire dagli anni Quaranta un successo inarrestabile diventando anche , grazie al suo testo celebrativo di una memoria del cuore che supera e vince le insidie del tempo, una delle melodie preferite in tempo di guerra. Rod Stewart riesce a restituirne intatta tutta la potenza, inarrivabile fusione di malinconia e speranza.
Ev’ry Time We Say Goodbye: Ad un delicato arpeggio di chitarra è invece affidata l’introduzione di un classico imponente: si tratta di Ev’ry Time We Say Goodbye, uno dei massimi capolavori firmati da Cole Porter. Da Ella Fitzgerald a Lady Gaga, da John Coltrane a Sonny Rollins: il brano, con la sua settantina d’anni straordinariamente portati, ha rappresentato un’inarrestabile tentazione per le più variegate anime musicali con tanto da dire…e da dare. Quello che Stewart riesce a dare per mezzo della famosa melodia è un’emozione antica e mai sopita, mix di classe e tenerezza, storia ed eternità.
The Nearness of You: Pareri discordi circondano le origini di The Nearness of You, magica composizione di Hoagy Carmichael e Ned Washington comparsa al termine degli anni Trenta. Ciò che invece non va incontro ad alcun dubbio è l’assoluta grazia, l’emozionante armonia, che traspira da ogni nota del brano. Rod Stewart ce ne fa mostra, presentandocela in tutto il suo splendore: splendore d’epoca, luccichio dal fascino antico e ormai perduto. Un gioco col tempo e le sue melodie tentatrici, un gioco messo in scena con la complicità di archi maestosi.
For All We Know: La squisita For All We Know è un’altra splendida settantenne che brilla prepotentemente delle tante portentose voci che l’hanno resa sempre più grande col passare del tempo. Le due interpretazioni più celebri sono quelle di Nat King Cole e Dinah Washington, e la rilettura di Rod Stewart è una devota celebrazione proprio di quelle passate grandezze. Voce, piano e orchestra tracciano insieme immagini da film d’epoca, di un bianco e nero immaginifico, di quelle dentro alle quali perdersi con gioia purissima.
We’ll Be Together Again: Carl T. Fischer compose nel 1945 una meravigliosa melodia, e chiese al celebre cantante Frankie Laine – col quale collaborava in veste di pianista e direttore musicale – di scriverne il testo. Ne risultò We’ll Be Together, lirica declamazione della più tenace speranza romantica. Rod Stewart ne prende tutta l’elegante tenacia e l’innamorata confidenza, le rende palpabili e le fa muovere davanti ai nostri occhi. Si confronta con vellutati interventi di tromba, per proiettarci in un’atmosfera sognante che porta in dono speranza e torpore.
That’s All: Il riferimento al Great American Songbook, presente nel titolo dell’album, è ripreso per il finale, per il quale Rod Stewart sceglie un magnifico classico: That’s All. Il brano aveva fatto guadagnare un posto prestigioso ai suoi autori Bob Haymes e Alan Brandt proprio all’interno dello storico catalogo di American Standards. Le luci si spengono sulla scena al ritmo incantato della più perfetta delle melodie: un canto di dedizione assoluta ed eterna, di totale devozione del cuore, qui sospeso tra sogno e realtà in mano a Stewart che racconta di magie antiche ma mai polverose.