Abraxas
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1. Singing Winds, Crying Beasts 4:51
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2. Black Magic Woman / Gypsy Queen 5:22
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3. Oye Como Va 4:16
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4. Incident at Neshabur 4:57
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5. Se a Cabo 2:50
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6. Mother’s Daughter 4:25
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7. Samba Pa Ti 4:54
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8. Hope You’re Feeling Better 4:11
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9. El Nicoya 1:30
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10. Se a Cabo 3:47
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11. Toussaint L’Overture 4:52
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12. Black Magic Woman / Gypsy Queen 4:57
Quando nel primo pomeriggio del 16 agosto 1969, Carlos Santana e la sua band salirono sul palco di Woodstock, nessuno degli astanti sapeva chi fossero. Presumibilmente nessuno li aveva mai ascoltati in precedenza e quindi nessuno aveva potuto stimare la loro insolita proposta musicale e questo perché un minimo di notorietà il gruppo, semplicemente nominato Santana, l’aveva raggiunta sulla west coast, soprattutto nella bay area di San Francisco ed in alcune località della costa californiana. Ma in quel caldo, afoso pomeriggio di agosto, la musica che avviluppava, saldava e scaldava circa 500.000 mila spettatori accalcati attorno alla struttura innalzata vicino ad una cittadina della contea di Ulster, si librava ed aleggiava sulla costa opposta, la east coast, in una zona ai confini dell’area metropolitana di New York City. A volerlo a tutti i costi in quella manifestazione, poi divenuta storica ed epica, era stato Bill Graham, affermato imprenditore/manager cui era difficile, se non impossibile negare un favore. Graham aveva apprezzato l’originale Santana Blues Band sin dagli esordi in una San Francisco in pieno delirio psichedelico, aveva non solo apprezzato i fluidi fraseggi del leader, ma anche il carisma che emanava. Lo aveva quindi aiutato ad indirizzare la propria linea musicale, ad orientare la band in posizioni sempre più distanti dal blues, aveva poi introdotto Carlos ad altre musiche ed infine l’aveva condotto nel tempio musicale che amministrava, il Fillmore West. Lo sconosciuto chitarrista e la sua band dal sound indecifrabile, inestricabile, ottennero a Woodstock un successo strepitoso, brani come ‘Soul sacrifice’, ‘Evil ways’ o ‘Jingo’ erano stati già incisi, ma il loro primo, omonimo album non era ancora stato pubblicato. La performance live creò una grande attesa per l’uscita dell’album che non certo casualmente ebbe un ottimo successo, arrivando al primo posto nelle classifiche statunitensi e vendendo circa due milioni di copie. Successo e fortuna arrisero alla band ed il loro secondo album pubblicato ad un solo anno di distanza, non solo contribuì a consolidare ed incrementare il loro posizionamento, ma stabilì in maniera indelebile una idea di fare musica che, molto semplicemente quanto avventatamente, fu definita latin rock. In realtà la proposta della band era molto più articolata: si fondevano in questo secondo lavoro, titolato “Abraxas” e pubblicato nel settembre del 1970, una matrice rock inequivocabile, un sapore blues sotterraneo, elementi evidentemente provenienti da ritmiche afrocubane, canoni ed articolazioni derivanti dal jazz e da una fusion non certo ancora affermata eppure vibrante, sebbene come movimento di tendenza fosse ancora sotterraneo. Quando Carlos Santana forma la sua band blues oriented, e siamo nel 1966, le visioni psichedeliche stanno influenzando la moda, il rapportarsi con il sistema, la musica, la pittura e soprattutto la grafica, eppure intravedere o decifrare nella musica santana espressa a Woodstock elementi psichedelici sarebbe una forzatura. E’ psichedelico l’approccio destabilizzante, libertario ed irriverente, ma non certo la comunicazione musicale: come è infatti possibile avvicinare i Jefferson Airplane, i Byrds o Grateful Dead e Iron Butterfly all’articolato, complesso crossover elaborato da Carlos Santana e i suoi pard?
Con “Abraxas” il sound Santana si definisce con precisione: chiunque voglia addentrarsi nell’universo di questo straordinario musicista deve immancabilmente iniziare con una immersione profonda in questo album che contiene almeno tre dei brani classici espressi della band: ‘Black magic woman/Gypsy Queen’, ‘Oye como va’ e ‘Samba pa ti’.
Il primo di questi evergreen è tratto dal repertorio dei Fleetwood Mac versione inglese anni ’60 allora guidati da un chitarrista mistico e sognatore, quanto indimenticato, come Peter Green, che del brano è anche l’unico autore. La versione di Santana non si scosta molto dall’originale pubblicato come 45 giri nel 1968, anche se inevitabilmente viene accentuato e definito con maggiore enfasi e nitidezza il sapore e l’andamento sensuale tipici della musica latino americana. La canzone è proposta come medley, infatti, al brano ripescato dal catalogo Fleetwood Mac, Carlos Santana fonde una ‘Gypsy Queen’ proveniente da una incisione del 1966 di Gàbor Szabò, abile jazzista di origine ungherese non a caso sotto contratto con la Impulse! Records, fondata dal produttore Creed Taylor, in quei tempi etichetta di riferimento per il jazz. Nella versione originale apparsa sull’LP “Abraxas” il brano dura 5 minuti e 37 secondi, ‘Gypsy woman’ inizia a 3 minuti e 46 secondi (circa!) e sebbene le radio non avessero mai trovato necessario editare il brano in favore di una fruizione più breve ed immediata, Carlos Santana scelse di togliere i quasi due minuti di ‘Gypsy woman’ quando allestì il suo greatest hits, mutilando così un brano senza provocargli sinceramente un significativo trauma. ‘Oye como va’ è invece un brano di Tito Puente: racconta Santana che in una delle sue tante notti insonni, stava ascoltando un programma alla radio in cui veniva proposta musica da party, musica di Eddie Palmieri, Ray Barretto e che ad un certo punto partì un pezzo che lo catturò. Pensò subito che il mattino successivo avrebbe dovuto scoprire di che canzone si trattasse, ma il conduttore del programma alla fine lo aiutò presentando quel brano che diverrà uno dei più acclamati successi Santana: ‘Oye como va’. La vera novità e innovazione presente in “Abraxas” è però ‘Samba pa ti’, brano manifesto dell’album e della stessa band. Oggi il pezzo è famoso in ogni parte del globo ed impersona da allora la componente melodica del chitarrista, ossia il più intenso elemento dell’identità musicale di Carlos Santana che, non a caso, di ‘Samba pa ti’ è anche autore. Poi, a dimostrazione ulteriore della sua imprevedibilità, della sua vasta conoscenza musicale, delle miriadi di sottoculture musicali che ha assimilato e recepito e delle sfaccettature di elementi appartenenti alla etnomusicologia che nel frattempo ha approfondito: Carlos Santana in “Abraxas” regala al suo pubblico la possibilità di individuare un altro aspetto del suo rapportarsi alla musica, quello più legato al jazz, all’improvvisazione, a quei percorsi contemplativi e spirituali che troveranno sempre maggiore spazio e determineranno alcuni suoi progetti senza la band. Lo fa attraverso ‘Incident at neshabur’ una sorta di brano-tramite che ci introduce per la prima volta in uno spazio decisamente privato, intimo, atipico. Si avverte chiaramente che il chitarrista gestisce e manifesta queste sue incursioni in mondi musicali periferici in una totale indipendenza, pur avvalendosi naturalmente dell’insostituibile traino offerto da un gruppo spettacolare. Chiunque voglia valutare il lavoro di Carlos Santana non può esimersi da ripercorrere, anche all’infinito, l’interazione segnata da brani come ‘Samba pa ti’ e ‘Incident at neshabur’, è nell’abisso che divide queste due incisioni che si cela e genera l’intera vicenda artistica del chitarrista. “Abraxas” non è però soltanto questo; ci sono altri notevoli brani, brani assolutamente non di contorno, parzialmente però offuscati dalla presenza di alcuni capolavori assoluti.