Arbeit Macht Frei
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1. Luglio, agosto, settembre (nero) 4:27
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2. Arbeit macht frei 8:00
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3. Consapevolezza 5:59
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4. Le labbra del tempo 5:52
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5. 240 chilometri da Smirne 5:15
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6. L’abbattimento dello Zeppelin 6:52
Gli Area sono uno di quei gruppi che meno può essere catalogato in un periodo storico e relativo genere musicale collegato. Una band giusta al momento giusto, capace di scompattare tutti i file musicali prodotti con qualsiasi programma e pentagramma. Una realtà avanti anni luce, tanto è vero che sono amati da gente molto diversa, da chi vive di rock progressivo, da chi lo contesta ma è innamorato del jazz e della musica etnica, dai fruitori dell’avanguardia e da chi non si pone domande sugli stili affrontati. A volte quando si è davanti all’arte storicizzata, che prevedeva sperimentazione, si ha quasi un’impressione di normalità, come se fosse più importante la storicizzazione di un’avanguardia o di un’opera d’arte per la sua legittimazione che non la concretezza dell’opera stessa. Nel caso di Arbeit Macht Frei, pur non essendo più avanguardia, non è offuscata sua l’impressione di forza espressiva, freschezza, idee in movimento che rendono questo disco più moderno e… d’avanguardia di molte opere discografiche odierne, a più di 40 anni dalla sua uscita. Il lavoro possiede pulsazioni cerebrali autonome, più o meno veloci, che rendono diversi i sei brani ad ogni ascolto e ne permettono infinite letture; quasi sembra impossibile che siano stati musicalmente composti da ragazzi alla prima prova su formato 33 giri (tranne Busnello, che è molto più grande degli altri e ha iniziato nel jazz alla fine degli anni ’40, esperienze con Bud Powell, Elvin Jones, Lee Konitz, Dusko Goykovich, Mal Waldron, Nathan Davis, Chet Baker, Dizzy Gillespie). L’apertura dell’album è con la voce araba recitante parole di pace in Luglio, Agosto, Settembre (nero), ieri come oggi lettura lucida sui problemi palestinesi, mentre la musica trascina in modo irresistibile, tra ritmi d’origine greco-balcanica e linguaggio non jazz non rock. Il brano è diventato una delle icone più fulgide della musica degli anni ’70 senza per questo trasformarsi in uno stereotipo plastificato. Il testo, come per la maggior parte dei brani degli Area, è opera di Frankenstien, pseudonimo di Sergio Albergoni e Gianni Sassi (vero stratega artistico della Cramps). Così Albergoni ricorda: “I testi erano scritti insieme, difficile stabilire dove finisse una scrittura e iniziasse l’altra, inoltre c’era anche il contributo dei musicisti. La Cramps (acronimo di C=company, R=record, A=advertising, M=management, P=pubblicità, S=service) nasce con Franco Mamone, morto nel 1995, l’organizzatore di concerti per eccellenza dei ’70 insieme a David Zard e Francesco Sanavio. L’invasione nella zona dei testi è stata richiesta, perché loro scrivevano solo in inglese e a noi non interessava portare avanti quel discorso. Così le parole in italiano, inevitabilmente, le abbiamo scritte noi. La Cramps inizia con gli Area”. Il primo disco non si dimentica mai. Così potremmo intitolare le parole di Patrizio Fariselli degli Area su questo album. “Andammo in studio con il tecnico del suono Gaetano Ria. E su un registratore a 16 piste incidemmo i primi take di Arbeit, sforzandoci di contenere al massimo le parti improvvisate. Il risultato pessimo e tornammo in sala d’incisione. Quindi riarrangiammo tutti i pezzi senza condizionamenti e il risultato fu Arbeit Macht Frei, album a cui sono molto affezionato e che credo sia invecchiato poco. Ci sono alcuni vaghi riferimenti alla scena jazz rock britannica. Allora, oltre ai grandi del jazz, io ascoltavo Brian Auger e Mike Ratledge (il tastierista dei Soft Machine), mi piaceva il suono distorto che questo riusciva a tirar fuori dall’organo, così come il resto del gruppo trattava i tempi dispari, spesso ruotando attorno alle linee di basso di Hugh Hopper. In seguito la soddisfazione è stata grande quando venni a sapere che i Soft Machine ascoltavano e apprezzavano il lavoro degli Area. Ci sono certi momenti, come in 240 chilometri da Smirne, 15/8, che forse ci avvicinano alle formazioni inglesi di quel periodo come i Nucleus di Ian Carr o i Centipede di Keith Tippett, ma è necessario dire con chiarezza che gli Area hanno soprattutto seguito la loro strada cercando una dimensione originale. Eravamo molto autoreferenziali e la nostra ricerca si spingeva oltre i territori del jazz o del rock comprendendo la musica mediterranea e balcanica e le sperimentazioni della musica contemporanea.