You And I
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1. Just Like a Woman 6:28
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2. Everyday People 4:34
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3. Don’t Let the Sun Catch You Cryin 4:02
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4. Grace 6:11
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5. Calling You 4:59
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6. Dream of You and I 4:29
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7. The Boy with the Thorn In His Side 3:34
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8. Poor Boy Long Way from Home 6:02
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9. Night Flight 4:54
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10. I Know It’s Over 7:02
La storia delle origini di Jeff Buckley è avvolta nella mitologia, un po’ come il personaggio. La sua “Hallelujah” è una canzone dalle mille vite e continua ad attirare periodicamente generazioni diverse di ascoltatori – anzi sarebbe bene ci fosse una moratoria su altre cover di quel brano, che continuamente viene riproposto, come se qualcuno potesse aggiungere qualcosa alla versione immortale del figlio di Tim. Ma Buckley non venne davvero compreso finché fu in vita. La mitologia di Buckley è in larga parte postuma.
I fatti, però, raccontano che i suoi esordi furono complicati; fu anche quell’inizio difficile a non permettere una piena comprensione di chi era e quanto era bravo, tra il ’93 e il ’97, anno della sua scomparsa. “You and I”, disco che racconta quel periodo, non è solo l’ennesima pubblicazione postuma. E’ un pezzo di quelle origini – ed un bel disco a prescindere.
“You and I”, è una raccolta di otto cover e due brani originali registrati allo Shelter Island Sound Studio di Steve Addabbo nel febbraio 1993 e scoperti recentemente.
Buckley nel ’92 aveva iniziato a suonare al Sin-é, un piccolo café irlandese a New York ( l’aveva portato l’amico Glen Hansard, a quel tempo famoso per il suo ruolo in “The Committents” di Alan Parker, ma questa è un’altra storia). I discografici si accorsero di lui e fecero la fila per ascoltarlo e metterlo sotto contratto. Alla fine, ad ottobre del ’92, firmò per la Columbia, e venne preso sotto l’ala protettrice di Steve Berkowitz.
Ma Jeff era indeciso su cosa fare della sua musica, non voleva diventare la nuova star del rock alternativo, e sentiva molta pressione addosso. Così ad inizio del ’93, 4 mesi dopo la firma del contratto, non c’erano ancora piani definiti sul futuro. Lo portarono in studio e da lì nascono queste sessioni – in larga parte inedite. L’idea era di lasciarlo libero di suonare, di modo che fosse se stesso e si sbloccasse. Poi si decise di lanciarlo con basso profilo, con un EP (il “Live at Sin-é”, appunto, a fine del ’93) per poi arrivare finalmente a “Grace” nel settembre del ’94 – che però generò una reazione tiepida.
Le cosiddette “Addabbo sessions” sono a loro volta oggetto di mitologia: qualcosa era trapelato in rete, in giro si legge che furono incisi anche i primi demo di “Grace”.
Di originali “You and I” contiene solo la title track del disco di debutto e “Dream Of You And I”, forse la cosa più toccante di tutto il disco: non è una canzone, è Buckley che racconta e suona l’idea di una canzone, la spiega, ed è la fotografia sonora del momento in cui finalmente si lascia andare – oltre ad avere una melodia bellissima.
Delle cover contenute nel disco, molte sono già note ed amate in altre versioni: da “Calling you” (la colonna sonora di “Bagdad café” – uno dei pezzi in cui Jeff sfodera meglio la sua voce), a “Just like a woman” di Dylan e “Night flight” dei Led Zeppellin, suonata spesse al Sin-é (ed incluse nella Legacy Edition del 2003) alla due cover degli Smiths “I know it’s over” e “The boy with the thorn in his side”. Altre erano decisamente meno note, se non sconosciute del tutto, come “Everyday people” di Sly & The Family Stone, non a caso usata come canzone di lancio dell’operazione.
Cosa rende unico “You and I”, in una discografia postuma inevitabilmente sovraffollata, è la qualità delle registrazioni, sia in termini puramente sonori (è stato fatto un ottimo lavoro di restaurazione), sia in termini di contenuto. E’, di fatto, un disco inedito, non soltanto un documento storico.
Si tratta di un’operazione fatta con cura, e una delle più importanti dalla sua scomparsa. Ma se la pensate in questo modo, vi consigliamo di leggere le note di copertina della madre Mary Guibert, che come sempre ha curato l’operazione. Sono disarmanti. Eccole:
Il processo di gestione dell’eredità musicale di musicisti scomparsi e la pressione che si vive nell’esserne il curatore non assomigliano per nulla a quanto accadrebbe se l’artista fosse ancora vivo. Niente. Nulla nel contratto di registrazione di un artista dice: “Se l’artista muore, il controllo passerà a sua madre”, e questo riguarda anche il contratto firmato da Jeff. Eppure, negli ultimi 18 anni, ho avuto lo straordinario privilegio di avere il ruolo di produttrice per ognuna delle sue uscite postume. È stato un misto di desiderio, timore e senso del dovere che ho messo in gioco per contribuire a creare progetti che onorassero la suprema arte di Jeff e preservassero la sua autenticità.
L’elenco completo delle tracce registrate da Jeff riempie un faldone conservato negli archivi della Columbia. Ha registrato prove ed esercizi. Ci sono programmi radiofonici, brani scartati e demo, la stragrande maggioranza dei quali sono ripetitivi, incompleti o comunque “non pronti per il pubblico”. Nel 1998 abbiamo provato a valutare il materiale per decidere quale sarebbe stata la prima versione postuma. I chilometri di nastro con queste registrazioni ci hanno fatto scoprire alcune gemme tra tutto il materiale disponibile. Ero pronta a prendere in considerazione di fare qualsiasi cosa per far uscire il lavoro su cui Jeff aveva messo tanto del suo cuore e della sua anima proprio prima della sua morte. Così portai avanti la preparazione della pubblicazione del doppio CD “Sketches for My Sweetheart the Drunk”.
Nel 1998, dopo la scomparsa di Jeff la mia prima richiesta in merito ai progetti postumi è stata: “Le registrazioni che abbiamo sono le vere reliquie di Jeff. Dobbiamo trattarle come tratteremmo il suo corpo per la sepoltura, no make up, no abito di Armani, lasciare lo smalto verde sull’unghia dell’alluce, e non tagliare o pettinare i capelli”. Con mio estremo sollievo e gratitudine, credo che siamo stati in grado di raggiungere con fervore l’essenza di questa metafora nel corso degli anni, e ancor di più con questo particolare progetto.
Questa volta abbiamo pensato che sarebbe stato bello raccogliere alcune delle registrazioni demo che Jeff ha fatto subito dopo aver firmato con l’etichetta. Questo repertorio, per quanto era ampio e profondo, si è dimostrato all’altezza dei suoi “cafe days” . Doveva tenersi il suo pubblico notte dopo notte, settimana dopo settimana, così ha condito la sua scaletta con innumerevoli brani “vecchi ma buoni”. Si è messo alla prova con canzoni che hanno reso popolare tutta una serie di artisti indietro nel tempo fino a Robert Johnson, e con diversi generi da Broadway al pop, dal jazz al rock, e tutto ciò che è nel mezzo. Tutto quello che si doveva fare era farlo entrare in un ottimo studio con un buon tecnico al mixer, accendere il microfono e avviare la registrazione. Oro.
Queste registrazioni sono inalterate e inedite. Chiudete gli occhi, alzate il volume o mettete il vostro auricolare. Siete solo voi, lui e i ragazzi della sala di registrazione. Godetevela.