Riscoprire Luigi Tenco
Nato da una passione extraconiugale, diseredato dai nonni materni, Luigi Tenco cresce con la madre Teresa sulle colline piemontesi, per poi arrivare in Liguria a dieci anni. E’ a Genova che all’inizio degli anni Cinquanta muove i primi passi in musica, quando suona il clarinetto nella Jelly Roll Morton Boys Jazz Band, che vede tra i suoi componenti anche un giovane Bruno Lauzi.
Nella seconda metà del decennio si unisce saltuariamente per qualche jam session e qualche concerto, stavolta impugnando il sax alto, al Modern Jazz Group: questa volta alla chitarra c’è un giovane collega che si chiama Fabrizio De André.
Al volgere degli anni Cinquanta si dedica alla nuova musica che soffia dagli Stati Uniti, suonando con Gino Paoli ne I Diavoli del Rock, e lavora come session man.
Il primo 45 giri firmato Luigi Tenco arriva nel 1961, quando il cantautore ventitreenne pubblica “I Miei Giorni Perduti”. L’anno successivo è un anno di fondamentali prime volte: il primo Lp omonimo (contenente classici amatissimi come “Mi Sono Innamorato di Te”, “Il Mio Regno” e “Angela”), la prima censura (per la pungente denuncia di “Cara Maestra”) e la prima volta al cinema. Luciano Salce lo sceglie infatti per interpretare il ruolo dell’idealista Giuliano in “La Cuccagna”, e Tenco convince il regista a lasciargli interpretare un brano scritto da un conoscente ancora ignoto ai più: si tratta de “La Ballata dell’Eroe”, la cui interpretazione dà una grande spinta alla nascente carriera di Fabrizio De André.
Quest’ultimo, nel frattempo, a Genova va dicendo di aver scritto lui “Quando”, punta di diamante del 33 giri di Tenco, così da poter rimorchiare più facilmente. L’ammissione del fatto a Luigi vede poi il rapporto di semplice conoscenza dei due trasformarsi in un’amicizia cementata da una solida condivisione d’ideali. “Eravamo tutti cani sciolti, ma sicuramente era quello che mi era più vicino come formazione politica e poi, da artista, come tematiche trattate”, spiegherà poi De André.
Nel 1965 è costretto a partire per il servizio militare. Di ritorno l’anno successivo, conosce uno dei momenti più prolifici della propria carriera: pubblica il secondo album omonimo – che a decenni di distanza sarà giudicato il 22esimo miglior disco italiano di sempre dalla rivista “Rolling Stone” -, incide capolavori di successo come “Lontano Lontano” e “Ognuno E’ Libero” (raccolti nel ’66 nell’album “Tenco”) e la sua “Un Giorno Dopo l’Altro” è scelta come sigla per lo sceneggiato televisivo “Il Commissario Maigret” con Gino Cervi.
Nel 1967 i sentimenti antibellici di “Li Vidi Tornare”, ispirati ai fatti del Risorgimento, vengono tradotti in termini più tradizionalmente romantici, e la canzone diventa “Ciao Amore Ciao”. Il cantautore la interpreta al Festival di Sanremo insieme a Dalida. Il dodicesimo posto ottenuto del brano non lo fa ammettere alla finale, e i momenti che seguono precipitano tragicamente dalla storia della musica italiana alla cronaca più cupa.
“Com’è difficile, bambina mia, veder finire tutti i miei sogni in un bicchier d’acqua senza neanche aver visto il mare”, aveva cantato Tenco un paio d’anni prima. Sono versi di coscienza limpidissima e travolgente tragedia; versi che un’Italia disattenta non si sforza di cogliere prima di ritrovarseli prepotentemente addosso quando Luigi Tenco viene ritrovato morto nella sua stanza d’albergo sanremese. Seguono anni di dibattiti, teorie, indagini e dubbi, e soprattutto una consacrazione tardiva che sembra aver voluto aspettare il terreno troppo facilmente fertile di una sepoltura per decidersi a fiorire.
La verità – la reale grandezza di Luigi Tenco che avrebbe potuto essere sotto gli occhi di tutti, il significato imponente del suo atto finale – come sempre riescono a raccontarla meglio di tutti le anime affini, i fratelli di poesia. “E così fu la fine del gioco, con gli amici venuti da lontano, a deporre una rosa sulla cronaca nera, a chiudere un occhio, a stringere una mano. Alcuni lo ricordano ancora mentre accende una sigaretta, altri ne hanno fatto un monumento per dimenticare un po’ più in fretta. La notte che presero il vino e ci lavarono la strada. Chi ha ucciso quel giovane angelo che girava senza spada?” ,si domanda anni dopo Francesco De Gregori.
E’ invece nel freddo di quel 1967 appena iniziato, nella notte che precede il funerale di Tenco, che Fabrizio De André si siede a scrivere una canzone per l’amico. “Preghiera in Gennaio” posiziona uno specchio grande e profondo di fronte all’Italia di allora, e alla sensibilità di quella di oggi, e tende la mano a quella che non può chiamarsi rivalutazione, ma prima, vera e propria scoperta: “Meglio di lui nessuno mai ti potrà indicare gli errori di noi tutti che puoi e vuoi salvare. Ascolta la sua voce che ormai canta nel vento. Dio di misericordia, vedrai, sarai contento”.