Drops Of Jupiter
-
1. She’s On Fire 3:49
-
2. I Wish You Would 4:24
-
3. Drops of Jupiter 4:20
-
4. It’s About You 4:18
-
5. Hopeless 4:31
-
6. Respect 3:25
-
7. Let It Roll 4:36
-
8. Something More 4:34
-
9. Whipping Boy 4:27
-
10. Getaway 4:25
-
11. Mississippi 5:06
2001, anno d’oro per i Train: i cinque musicisti californiani pubblicano un album che sintetizza le aspirazioni alternative rock e la naturale vocazione di artigiani del pop.
Il singolo che dà il titolo al disco, “Drops of Jupiter”, è in grado di mostrare la sua faccia di irresistibile e brillante freschezza e, al contempo, presentarsi da subito come un piccolo grande classico senza tempo. Si tratta insomma di un album che infila undici tracce una dietro l’altra con una naturalezza dalla tempra affascinante, un’opera abilissima nel lanciare incantesimi melodici su un pubblico sempre più vasto ed estasiato; questo anche grazie ad una presenza eccellente al fianco dei Train, ovvero quella del grande arrangiatore e direttore d’orchestra Paul Buckmaster, artista dal curriculum incredibile che con navigata maestria dona alle composizioni del gruppo una veste di finezza davvero in grado di segnare una svolta.
Il brano d’apertura, “She’s on Fire” venne scelto come ultimo singolo estratto dall’album, ad un anno di distanza da quello di lancio: nel mezzo, un anno intero di calda musica e meritato successo internazionale. Trascinante e perfetta apertura, la canzone è un’energica e coinvolgente messa in musica di un’infatuazione dai tratti irresistibili. Sfilano così tutte le emozioni inebrianti di una possibile storia dal futuro promettente, mentre c’è una relazione dal passato massiccio al centro del brano successivo, I” Wish You Would.”
Ritorni, seconde possibilità da dare e da darsi: l’atmosfera si tinge dei toni di un southern rock appassionato – reso ancora più intrigante dagli interventi di mandolino del chitarrista Jimmy Stafford – per scandire le promesse mature di sentimenti destinati a durare.
Segue poi l’incedere inconfondibile di un pianoforte ardente. A sentire le prime note del brano che dà il titolo dell’album, sembra ieri – l’inarrestabile “Drops of Jupiter “che imperversa in ogni stazione radio, risuona in ogni casa – eppure sono già quattordici anni. Basta però riprendere questa melodia così nota e così carica di ricordi e si ha la sensazione di tornare al sole di inizio 2001. Più innocenza e più sorrisi. Nei suoi quattro minuti di durata il pezzo riesce a racchiudere tutto l’irrefrenabile entusiasmo di inizio millennio, ma anche la più piacevole delicatezza del pop. Con l’introduzione del piano si compone immediatamente un’atmosfera di meravigliosa familiarità; si fa largo poi la voce – canta tutto d’un fiato il frontman Pat Monahan, come capita con le melodie dolcemente intrecciate ad un’età della vita densa di speranze. E quando s’introducono gli archi, la canzone ha finalmente indosso il suo abito inconfondibile, quello di un irrinunciabile scaldacuore melodico.
Continuano a seguire la linea tortuosa di universali pieghe romantiche – nei loro alti e bassi più comuni – anche brani come “It’s About You” e “Hopeless”. Se nella prima la voce di Monahan, saldamente sostenuta dal basso, approda ai ritornelli come se stesse aprendo le ali e concedendosi un respiro liberatorio, la seconda – highlight innegabile dell’album – affida invece le sue riflessioni malinconiche ad un’atmosfera pensosa che combina intimità acustica e autunnali chiose elettriche.
A scuotere il clima arriva poi la trascinante “Respect,” energica rivolta contro un amore appassito che non smette di graffiare. Per l’occasione, il frontman della band californiana si divide tra microfono – dove dà prova di un’appassionata performance vocale – e sassofono.
All’arrivo delle prime note di “Let It Roll “sembra calare una notte dal manto raccolto e seducente. Merito dell’atmosfera soffusa finemente creata da un eccellente mix di pensierosa slide e ritmiche liquide, un cuscino di velluto purissimo per la voce coinvolgente di Pat Monahan.
E’ poi la volta del brano cui venne affidato l’oneroso compito di mantenere vivo il successo della titletrack come secondo singolo estratto. Come Drops of Jupiter, “Something More” si lascia guidare per mano dal fervore di un pianoforte capace di intrecciarsi perfettamente alle parole che culla. Languore e malinconia trovano, ancora una volta, dei complici d’eccezione nei raffinati archi diretti da Paul Buckmaster.
“Whipping Boy “si gode invece un racconto di passionale intesa attraverso una ritrovata robustezza elettrica, costruita da distorsioni ardenti e da un basso dal protagonismo vincente.
Suoni distorti ed emozionanti suoni acustici decidono infine d’incontrarsi sulle note di “Getaway, una delle tracce più suggestive dell’intero album. La fine ricchezza dell’arrangiamento splende “sommamente durante gli emozionanti interventi del chitarrista Jimmy Stafford, circondato dai compagni sempre più ispirati.
L’album trova la sua conclusione ideale in “Mississippi,” splendido omaggio ad una musa dai poteri magici e dai lineamenti inafferrabili, così potente e così totale da diventare materia stessa dell’universo. L’elegia sognante dei Train sceglie dunque di raccontarsi attraverso la dolcezza disarmante di lievissimi tocchi acustici, accarezzati con tocco di velluto della tromba di Monahan.