Tutti Morimmo A Stento
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1. Cantico Dei Drogati 7:06
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2. Primo Intermezzo 1:57
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3. Leggenda Di Natale 3:14
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4. Secondo Intermezzo 1:56
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5. Ballata Degli Impiccati 4:16
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6. Inverno 4:10
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7. Girotondo 3:06
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8. Terzo Intermezzo 0:25
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9. Recitativo 2:33
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10. Corale 4:57
Il 1968 di Fabrizio De André non è come uno se l’aspetta. Il cantautore genovese non scrive di rivoluzione proletaria, né di perbenismo borghese. Tratta, invece, uno degli argomenti più inadatti a diventare oggetto di una canzone: la morte. Influenzato dall’ascolto dell’album dei Moody Blues “Days of future passed”, registra un disco anomalo, un album in cui la voce e la chitarra sono abbinate ai suoni di un’orchestra. L’idea, realizzata grazie alla collaborazione dell’arrangiatore e compositore Gian Piero Reverberi, è affascinante e assieme temeraria. È pur vero che De André ha alle spalle pezzi come “La canzone di Marinella” e “Bocca di rosa”, ma non è ancora il cantautore più rispettato e venerato d’Italia. Il risultato è “Tutti morimmo a stento”, un lavoro ponderoso e importante, uno dei primi concept album italiani.
“Tutti morimmo a stento” è un album di rottura. Contribuisce a fare di De André una figura intellettuale e non solo l’autore di splendide canzoni come “Via del campo” e “Amore che vieni, amore che vai”. In Italia non si ricordano altri dischi improntati a una tale nobile serietà d’intenti. Il tono è tragico, i testi raccontano di morte non solo fisica, ma anche psicologica, morale, mentale. I brani, come spiegò il cantautore, sono “uniti tra loro da intermezzi sinfonici e hanno come minimo comune denominatore quello di essere nella stessa tonalità, e di trattare lo stesso argomento”. Gli arrangiamenti orchestrali di Reverberi sono austeri, ma vari, vengono evocati scenari da spaghetti western (“Ballata degli impiccati”) e colonne sonore di film d’azione (“Primo intermezzo” e “Secondo intermezzo”). Ci sono evidenti tracce di Bach (“Recitativo”) e un coro di bambini in un pezzo sulla guerra (“Girotondo”).
L’album viene realizzato nel giro di pochi giorni nell’estate del 1968 negli studi della RCA della capitale, capienti a sufficienza da ospitare la Philharmonia di Roma e il coro Pietro Carapellucci, in totale qualcosa come 80 persone. Si apre con i sette minuti del “Cantico dei drogati”, ispirato alla poesia di Riccardo Mannerini “Eroina”, dove già era contenuta l’immagine di un Dio “licenziato”. Se “La ballata degli impiccati”, scritta con Giuseppe Bentivoglio, è ispirata a “La ballade des pendus” del poeta francese François Villon ed esprime la collera lucida e quasi insopportabile dei condannati (“Coltiviamo per tutti un rancore che ha l’odore del sangue rappreso”), “Leggenda di Natale” si rifà a “Le Père Noël e la petite fille” di Georges Brassens ed è una storia di fanciullezza abusata. Inframmezzate da tre brevi intermezzi strumentali, le canzoni sfumano una nell’altra e descrivono un mondo privo di pietà che trasforma la vita in una lunga anticipazione della morte.
“Tutti morimmo a stento”, recitavano le note di copertina dell’epoca, è “un messaggio di disperato amore, per tutti i diseredati cui una specie di morte morale impedisce di recuperare il perduto gusto della vita. E proprio la morte (come negazione della vita, ossia della dignità, della felicità, di tutto quanto gli antichi comprendevano nel termine humanitas), fornisce il fondale inquietante di questa cantata, un polittico che allinea tutto il triste campionario di un’umanità derelitta (…) Su tutti alleggia, nel dolente racconto dell’autore, la consapevolezza dei propri peccato e dell’impossibilità a riscattarsene, l’avidità di luce e di quiete cui fa riscontro la condanna all’ombra e al tormento”.
Questa “Cantata in si minore per solo, coro e orchestra”, com’era sottotitolato l’album usando una terminologia tipica della musica classica, è una scommessa vinta: a sorpresa, arriva al secondo posto in classifica, giusto dietro il “Vol. 1” dello stesso De André. “Un nuovo fenomeno nel mondo della canzone è in testa alle vendite dei dischi a 33 giri. Si chiama Fabrizio De André: nei suoi versi da liceo classico c’è di tutto, da Villon a Pascoli”, titola nel marzo del 1969 L’Europeo, che racconta di un successo fra ragazzine, studenti e professori di scuola media. Di “Tutti morimmo a stento” sarà realizzata anche una versione in lingua inglese, mai pubblicata e ritrovata nel 2007. Lo stesso team, De André-Mannarini-Reverberi, contribuirà alla realizzazione di un altro concept entrato nella storia, “Senza orario senza bandiera” dei New Trolls.