Albachiara
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1. 3:58
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2. Fegato, Fegato Spappolato 3:15
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3. 5:09
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4. (Per Quello Che Ho Da Fare) Faccio Il Militare 4:31
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5. (Per Quello Che Ho Da Fare) Faccio Il Militare 0:36
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6. La Strega 4:42
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7. Albachiara 4:03
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8. Quindici Anni Fa 5:10
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9. 3:09
Nel 1979 un giovanissimo Vasco Rossi conquista un posto d’onore sulla scena del rock italiano grazie al suo secondo album, Albachiara – Non siamo mica gli americani.
L’album contiene tracce che, a trentacinque anni dalla sua pubblicazione , continuano ad essere capisaldi della sua produzione, e momenti importanti nelle sue esibizioni live. Primo tra tutti ovviamente Albachiara, che suscitò tale successo essere scelto come titolo dell’album nelle successive stampe ( originariamente il disco si intitolava “Non siamo mica gli americani”), poi Fegato, fegato spappolato, uno dei brani più amati dal pubblico di Vasco di tutti i tempi.
L’album si apre con Io non so più cosa fare , rock ballad contraddistinta dalle chitarre di Maurizio Salieri e Massimo Riva. È il racconto dello smarrimento divertito di un uomo alle prese con le avances notturne della sua donna. Autoironia, allegria, tenerezza, meditazioni ad alta voce scandite a ritmo di rock, con un finale a carillon sorprendente e giocoso.
Fegato, fegato spappolato. La vita di provincia, tutta uguale, che si ripete. Questa volta lo smarrimento è più sotterraneo, nascosto da toni sarcastici, dal ritmo serrato del cantato.L’unica via di fuga è l’alcol, che spappola il fegato e lascia uno schifoso amaro in bocca il giorno dopo, ma che fa stare bene. Il rock/funk della canzone è caratterizzato dalla bella bass line di Gian Emilio Tassoni, l’ironia sottolineata dai fraseggi al sax di Rudy Trevisi. La canzone si chiude con una citazione di “God save the queen” dei Sex Pistol, un gustoso omaggio a chi, come lui, andava in controtendenza, senza paura.
Sballi ravvicinati del terzo tipo,titolo che richiama il film fantascientifico “Incontri ravvicinati del terzo tipo “ di Spielberg, è una ballad semplice, fatta di chitarre acustiche ed effetti spaziali, e racconta di un’attesa infinita, occhi e mani al cielo ad aspettare una salvezza che non potrà arrivare. Un cielo che tradisce, che delude, e sarà meglio guardare altrove, e salvarci da soli. Il testo si presta ad infinite letture, sociali, intimistiche, religiose, e mantiene un tono amaro pur inserito in una atmosfera sognante, sospesa, siderale.
Si apre con una tarantella storta e alcolica Per quello che ho da fare…faccio il militare , scandita dai fraseggi tipici di Vasco, che si affastellano, non vanno a tempo, rallentano, scherzano, si ripetono. Domande intelligenti, risposte fuori tema, fischi marziali (il ponte sul fiume Kwai), creano alla fine una gustosa e irriverente, nuova forma di protesta. Contro la chiamata di leva, la guerra in genere, l’ottusitá, la violenza.
Un energico bellissimo riff di chitarra elettrica introduce il rock dance di La strega (la diva del sabato sera). Le percussioni di Giovanni Pezzoli scandiscono un ritmo graffiante che sostiene il ritratto di una divetta da discoteca, che il sabato sera trova il suo regno sotto le luci balenanti del locale , e tra un po’ di sesso regalato qua e là è un ballo , tiene saldamente lo scettro di Regina per una notte.
Albachiara è una canzone capolavoro, manifesto che continua a stregare e commuovere intere generazioni di fanciulle in fiore in lotta con il “mal di crescere”. Scritta da Alan Taylor e lo stesso Vasco, è una composizione che inizia in punta di piedi, con un delicatissimo arpeggio di pianoforte e si trasforma ben presto in rock duro, come a voler dipingere con le note i colori delle contraddizioni che convivono nell’anima delle giovani donne che si affacciano alla vita, tra curiosità e paura, la consapevolezza e le mille domande senza risposta.
Spesso Vasco Rossi ha raccontato con incredibile finezza l’animo femminile, ed il contrasto tra le parole delicate, che scavano in profondità cogliendo gesti e pensieri , e l’interpretazione , scarna, graffiante, ha creato un mix assolutamente irresistibile, che da’ la misura delle capacità autoriali ed interpretative dell’indiscusso re del rock italiano .
Quindici anni fa ha invece un andamento sorprendentemente progressive. Le note scivolano , si intrecciano alla perfezione, mentre i ricordi del cantautore di Zocca si snodano, tra immagini di donne, sentimenti, certezze sgretolate dall’esperienza e dal tempo. Importante è non fermarsi, non accettare le cose per come stanno. Frasi bellissime, ritmiche sferzanti, bei riff alle tastiere di Gaetano Curreri, che arrangia.
Chiude l’opera Va be’, se te lo devo dire. Un dixieland di provincia, una canzone d’amore recitata , sferzante, un poco plateale, ma una platea di piccola provincia. Vasco interpreta, si inalbera, parla, attinge al cabaret, al vaudeville, si diverte, e chiude con un sornione “ciaaaaaooooo”.
Si chiude così un disco iconico, che influenzerà generazioni di autori e musicisti a venire, e che svecchierà e scuoterà il pubblico italiano, conquistandolo e stringendolo in un abbraccio che non vuole sciogliersi mai.