Catcher in the Sky
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1. Il Signor Hood 2:45
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2. Bambini Venite Parvulos 4:32
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3. Pane E Castagne 4:39
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4. 3:29
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5. Ninetto & La Colonia 4:02
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6. Buonanotte Fiorellino 4:08
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7. La Donna Cannone 4:40
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8. La Leva Calcistica Della Classe ’68 5:00
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9. A Pa' 4:16
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10. Titanic 4:29
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11. Bufalo Bill 5:15
“È una parte che mi riesce sempre bene, il professore, il preside”, ironizza Francesco De Gregori nel live “Catcher in the sky”. Nel settembre 1990 il cantautore romano lancia un’operazione ardita: pubblica in contemporanea tre diversi dischi live intitolati “Musica leggera”, “Niente da capire” e appunto “Catcher in the sky” con esecuzioni registrate nei tour del 1987, 1988 e 1989. I tre dischi nel complesso coprono oltre trenta canzoni, un bel pezzo di repertorio di De Gregori da cui restano fuori giusto l’album inciso con Antonello Venditti “Theorius campus” e il debutto del 1973 “Alice non lo sa”. È una fotografia in movimento dell’attività di performer del cantautore che, un po’ come Bob Dylan, coltiva un’idea di arte “in progress”. La copertina stessa di “Catcher in the sky” richiama l’idea del viaggio: il parabrezza di un’auto, la strada grigia, il cruscotto, uno specchietto retrovisore da cui spunta il volto di De Gregori. È una citazione di “Nebraska” di Bruce Springsteen. “È una foto vecchissima, di quando avevo vent’anni o giù di lì”, racconta a Italia Radio. “Mi piaceva riproporre un ideale di giovinezza”.
Il titolo “Catcher in the sky” strizza l’occhio a quello del romanzo di J.D. Salinger “Il giovane Holden”, nell’originale “Catcher in the rye”. Il cantautore spiega al mensile Chitarre di averlo scelto per il disco, fra i tre dal vivo, “dove maggiore è il numero di canzoni che in qualche modo riguardano il mondo dell’adolescenza, così come nel romanzo di Salinger”. Effettivamente ci sono canzoni come “Ninetto & la colonia”, un’interpretazione del luglio 1987 a Correggio, o “La leva calcistica della classe 1968”, capolavoro tratto dai concerti dell’ottobre 1989 a Roma da cui provengono due terzi dell’album. Quando nel libro “Passo d’uomo” Antonio Gnoli gli chiede se vi sono punti in comune fra il protagonista del romanzo di Salinger, Holden Caulfield, e il Nino della “Leva calcistica”, De Gregori risponde di non averci mai pensato, “ma ci può stare perché entrambi possono ispirare una certa tenerezza. Entrambi affrontano un rito di passaggio”. Con una grande differenza: “Nino, nella mia testa di autore, non è mai stato affetto da patologie mentali. Non ha fragilità profonde. Deve solo allenarsi alla vita. Scegliere da che parte stare. Cominciare il suo percorso di uomo”.
“La musica non può essere fissata una volta per tutte”, va ripetendo De Gregori. Anzi, “sarebbe drammatico” se interpretasse una canzone come vent’anni prima. E così la versione della celebre “La donna cannone” è piuttosto distante dall’originale, ne è quasi l’opposto. Laddove c’erano pianoforte e archi ora c’è un pezzo per voce e chitarra ridotto ai minimi termini. Il ritmo in tre di “Buonanotte fiorellino” è rallentato e la chitarra sostituisce il pianoforte. La stessa “Ninetto e la colonia” ha tutt’altra atmosfera e un verso finale assente dalla versione contenuta nell’album “Bufalo Bill”: “E il vento passava tra gli alberi e nessuno vide passare il funerale del piccolo Ninetto, portato via dal temporale”. Se l’introduzione parlata a “Sotto le stelle del Messico a trapanar”, in cui spiega che i versi finiscono tutti con verbi infiniti tronchi, è un modo per prendere in giro i giornalisti (“Volevo chiamarla per chiarezza ‘Infiniti tronchi’, ma poi ho pensato che qualche critico musicale l’avrebbe scambiata per una canzone su una foresta sterminata”), “A pà” è uno dei momenti più emozionanti, una dedica a Pier Paolo Pasolini. De Gregori scriverà sull’Unità cinque anni più tardi che dell’intellettuale degli “Scritti corsari” gli manca la “lucidità che aveva nel decifrare il presente, quella lucidità che fu spesso scambiata – sbagliando – per chiaroveggenza. Che lo portava a scrivere ciò che al momento spesso non riuscivo a condividere, ma che avrei condiviso magari sei mesi o due anni dopo”.
“Catcher in the sky”, “Niente da capire” e “Musica leggera” sono i primi dischi dal vivo nella storia del cantautore, fatta eccezione per quelli collettivi con Dalla, Venditti e Maria Monti. Non c’è, però, un intento di sistematizzare il repertorio di De Gregori, solo di rappresentarne l’attività live senza dover rappresentare un greatest hits o un meglio-di, e infatti manca “Viva l’Italia”, per citarne una. “Sono tre dischi casuali che in fondo hanno un unico fine: rappresentare, nel bene e nel male, il mio valore dal vivo”, dice De Gregori al mensile Blu. “Non si tratta assolutamente di un monumento a me stesso: quelle sono operazioni da discografico e sarebbe gravissimo se fossero concepite direttamente dalla mente di un artista. Equivarrebbe a dire e ammettere che ciò che è passato pesa di più di ciò che è presente o che deve ancora venire. Sinceramente quella della voglia del consuntivo è una sensazione che non vorrei provare mai”. La battaglia di De Gregori per continuare ad essere artisticamente vivo e rilevante continua. Continuerà anche la produzione di dischi dal vivo: ne seguiranno altri sette, più quelli con Lucio Dalla e con Pino Daniele, Fiorella Mannoia e Ron.