Axis: Bold As Love
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1. Exp 1:55
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2. Up From The Skies 2:55
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3. Spanish Castle Magic 3:00
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4. Wait Until Tomorrow 3:00
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5. Ain’t No Telling 1:46
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6. Little Wing 2:24
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7. If 6 Was 9 5:32
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8. You Got Me Floatin' 2:45
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9. Castles Made of Sand 2:46
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10. She’s So Fine 2:37
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11. One Rainy Wish 3:40
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12. Little Miss Lover 2:20
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13. Bold as Love 4:09
Troppo spesso non si valuta pienamente come dietro la realizzazione di un album si agitino ed attuino non solo le idee realizzative del musicista o dei musicisti, ma anche una serie di contributi specifici di tecnici, assistenti, sostenitori ed accompagnatori, magari accomodanti, che rendono il lavoro in studio più fluido e rilassato, partecipando così a mitigare quelle inevitabili tensioni che possono crearsi durante le sedute di registrazione. Il bassista della Jimi Hendrix Experience, Noel Redding, non amava il lavoro in studio e spesso era disinteressato alle attività che vi si svolgevano, quindi si eclissava per poi corrucciarsi quando Hendrix si occupava personalmente delle parti di basso. Il batterista Mitch Mitchell, al contrario, chiedeva e cercava di essere coinvolto soprattutto sulle scelte ritmiche, suggerendo spesso soluzioni che sorprendevano piacevolmente lo stesso Hendrix, sebbene raramente poi se ne avvalesse.
Quando iniziano le session per quello che diverrà “Axis: bold as love”, il chitarrista americano sta ancora elaborando e metabolizzando l’enorme successo dell’album d’esordio, “Are you experienced”, che lo ha improvvisamente proiettato nel gotha della musica pop-rock. Il nuovo lavoro viene sviluppato a Londra negli Olympic Studios; ad assistere Hendrix c’è il suo manager e produttore Chas Chandler, decisamente ottimo manager, ma non dotato di quelle capacità ed intuizioni necessarie per tradurre in suoni alcune delle folgorazioni, magari ancora indistinte, avute dal musicista.
A tamponare la situazione c’è un tecnico del suono ancora giovane, animato di entusiasmo e soprattutto intuitivo e disponibile, quel Eddie Kramer che parteciperà alle incisioni della quasi totalità della musica lasciataci da Hendrix e che negli anni firmerà album degli Stones, brani dei Beatles, dischi dei Led Zeppelin e molto altro ancora. Accanto a Kramer, con ruoli subalterni di recordista o microfonista, si muovono George Chkiantz, una sorta di mago di una elettronica applicata alla musica ancora tutta da scoprire e Andy Johns futuro produttore e tecnico del suono di album storici, “Exile on main St.” degli Stones su tutti. Terry Brown è invece il braccio destro di Kramer ed abile gestore dei tempi e delle crisi che a volte si manifestano in studio, la prima delle quali riguarda proprio la manifesta incomunicabilità tra musicista e Chandler. Jimi Hendrix arriva da un successo personale ottenuto a giugno al Monterey Pop Festival dove la sua performance era stata presentata da un Brian Jones assoluta icona di quel periodo psichedelico che peraltro anche Hendrix partecipò a definire e non solo con la sua musica. Per comprendere questo secondo disco è utile citare, come introduzione, una sintetica quanto convincente formula proposta da Harry Shapiro e Caesar Glebbeek nella loro biografia “Jimi Hendrix: Electric Gypsy” nel 1990: “Se Are You Experienced era il razzo lanciato in orbita a tutta velocità, Axis: bold as love ce lo fa ritrovare [Hendrix] mentre viaggia sicuro nello spazio per contemplarne le meraviglie”. Questa è una chiave di lettura oggettivamente valida su cui poter sviluppare il racconto del dischiudersi e rivelarsi del nuovo album. Le figure ritmiche di Mitchell, i fraseggi di Redding, il chitarrismo di Hendrix hanno una evidente quando diversa direzione rispetto al disco precedente: Kramer e Chkiantz assecondano infatti tutte le richieste del leader, si impegnano a tradurre le visioni ed esigenze di Hendrix in una realtà sonora, suggeriscono soluzioni che vanno a tradurre in musica i colori con cui il chitarrista descrive le sue necessità espressive. Alla fine di ottobre del 1967 sono terminano le incisioni ed anche le varie fasi successive di lavorazione. Un incidente apparentemente inquietante, potenzialmente disastroso, crea attimi di tensione: Hendrix dimentica in un taxi il materiale già registrato e mixato di quella che sarebbe dovuta essere la side A dell’LP. La bobina non verrà mai più ritrovata ed il lavoro sulle tracce originali sarà di nuovo espletato in tempi molto più stretti, una sola nottata, con un risultato che non ha mai soddisfatto Hendrix. “Axis: bold as love” apre con un trastullo autoindulgente, quel ‘EXP’, della durata di neanche 2 minuti in cui Mitch Mitchell interpreta un conduttore radiofonico che intervista un alieno di nome Paul Caruso cui Hendrix presta la voce. Malgrado si siano cercate varie spiegazioni per questo ‘EXP’, sembra proprio trattarsi di una semplice introduzione ai brani dell’album, non a caso Mr. Caruso/Hendrix finisce col dire: “E adesso se volete scusarmi, ho proprio da fare”, questi 2 minuti sono musicalmente caratterizzati da suoni di chitarra ottenuti con feedback ed altre diavolerie immaginate da un Hendrix in pieno trip visionario. Subito dopo le citate parole di Mr. Caruso, parte ‘Up from the skies’ un pezzo swingato con un apporto semplice quanto efficace di Mitch Michell che delinea gli spazi in cui Hendrix si muove a suon di spazzole: il brano sarà scelto come singolo e non otterrà grandi risultati di classifica benché fosse stato riconosciuto dall’entourage di Hendrix come valida introduzione ad “Axis: bold as love”. Segue uno dei pilastri della musica hendrixiana, ‘Spanish castle magic’, brano non certo visionario, ma ancorato a quella forma di rock allora esordiente, rock duro (ancora non certo hard), trascinante, affidato anche ad assoli che mai sono stati così efficaci quanto normali, e ad un riff iniziale di sicuro impatto. L’uso della batteria, che vagamente rimanda al drumming anarchico di Keith Moon degli Who, finisce per confermare e caratterizzare ‘Spanish castle magic’ nell’ambito della pura forma rock. Arrivati alla traccia 6 troviamo una delle perle dell’intero lavoro e dell’intera discografia hendrixiana: ‘Little wing’. Sarà lo stesso chitarrista a raccontare come l’idea per questo pezzo gli fosse venuta durante la partecipazione al Montray Festival: osservando il pubblico, i colori, i movimenti ondeggianti della gente, aveva immaginato di poter convertire tutti gli elementi di questa sua sensazione/visione, inglobandoli nell’astratto corpo ideale di una ragazza puramente inventata, virtuale, Little Wing appunto, che lui avrebbe poi lasciato volar via. Il brano è semplice, breve, sobrio e scorrevole, una ballad che comunica immediata serenità. Il chitarrismo espresso può oggi apparire ordinario o nella norma, ma il quel dicembre del 1967 la sensazione era decisamente diversa: una rivoluzione si era compiuta, un cataclisma era stato annunciato. A celebrare questa canzone hanno partecipato, con interpretazioni sempre molto riuscite e più o meno rispettose, Eric Clapton, Steve Ray Vaughan, Sting, i Pearl Jam (live) e fra i primi Gil Evans. Traccia numero 7, ‘If 6 was 9’ introduce l’Hendrix più legato al blues e a quella sua peculiarità di cantare e raddoppiarsi e/o rispondersi con la chitarra, come farà meno dichiaratamente nell’ultima traccia dell’album, ‘Bold as love’ che deve essere attentamente studiata per i suoi due soli di chitarra: l’abituale e l’insolito, divisi da un break di batteria effettata, assoli devastanti per quel dono tutto hendrixiano di scrutare nel futuro. In questo caso nel futuro della chitarra che a lui deve una delle più determinanti innovazioni, sostenute ed avviate, oltretutto, negli anni in cui agivano Clapton, Jimmy Page, Peter Green e soprattutto Jeff Beck che assieme a Hendrix ha letteralmente spostato l’asse di un chitarrismo teso verso nuove finalità. Infine si segnala ‘Castle made of sand’ un’orgia pura di proto-tecnologia affidata ad assoli montati al contrario, phasing, effetto Leslie applicato alla chitarra, loop ed altre diavolerie che Hendrix ha saputo sfruttare, a volte scoprire e suggerire, molto più spesso semplicemente esaltare.