Black Celebration (Remastered)
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1. Black Celebration 4:57
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2. Fly On the Windscreen (Final) 5:19
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3. A Question of Lust (Minimal) 4:28
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4. Sometimes 1:54
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5. It Doesn’t Matter Two 2:51
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6. A Question of Time 4:09
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7. Stripped 4:17
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8. Here Is the House 4:16
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9. World Full of Nothing 2:48
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10. Dressed in Black 2:34
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11. New Dress 3:45
E’ il 1986 e i Depeche Mode stanno per definire il proprio suono una volta per tutte. Sono al lavoro sul quinto album di una carriera in rapida ascesa e decidono di espandere le atmosfere suggerite due anni prima con “Some Great Reward” in un linguaggio personale che d’ora in avanti diventerà il loro sigillo inconfondibile.
“Black Celebration” preannuncia già dal titolo quale sarà l’umore distillato nelle tracce: una crescente malia dark, rinsaldata da testi nichilisti e distesa su un tessuto sonoro sempre più raffinato. L’impronta di Alan Wilder si manifesta in arrangiamenti più pregiati che mai, con l’abilità in studio del gruppo che evolve straordinariamente senza perdere l’occasione di strizzare l’occhio ai suoni che provengono da fuori – lo dimostrano i tanti sample sapientemente rubati al mondo esterno.
Daniel Miller, produttore dell’album insieme alla band e a Gareth Jones, aveva inizialmente lamentato la mancanza di veri e propri singoli – pezzi irresistibili in grado di entrare prepotentemente in testa – come anche lo scarso appeal radiofonico. E’ forse questa la vera forza di “Black Celebration”: la qualità insinuata tra i solchi dell’album, che non ha bisogno di facili inni ma sa stregare profondamente ad ogni ascolto.
La titletrack dà l’avvio a questa nuova fase artistica dei Depeche Mode concentrando stile ed ambizione dell’intero progetto. La canzone cresce ambigua e sinistra su un tappeto di synth algidi, distorsioni vocali e intrusioni sonore. Nonostante si tratti di fatto di una canzone d’amore – della passione condivisa di due pessimisti cronici – questa è anche la colonna sonora di un incubo, che però si tiene ben stretta addosso una scintillante maschera di seduzione.
Lo stesso penetrante senso di sfiducia pervade “Fly on the Windscreen – Final”, invito passionale che si apre con un’attestazione categorica come “death is everywhere”. L’eros è anche al centro della romantica “A Question of Lust”, il secondo singolo estratto dall’album. Per la prima volta nella storia dei Depeche Mode, l’autore Martin Gore è anche la voce solista in un A-side della band – e proprio con quest’album si appropria del microfono più che mai in passato.
“Sometimes”, ermetica e sublime, espande gli orizzonti della band di Basildon ospitando un coro gospel e le note spogliate di un pianoforte, capaci di tratteggiare un’atmosfera onirica poi proseguita dal carosello surreale di “It Doesn’t Matter Two”.
Seguono “A Question of Time” e “Stripped”, rispettivamente terzo e primo singolo estratti dall’album. La prima si sposta fulminea su toni aggressivi informati ad un originale accostamento di dance ossessiva reinterpretata in chiave new wave. Il video del brano segna la nascita della collaborazione con Anton Corbijn, figura fondamentale per l’estetica Depeche Mode. “Stripped” è una delle composizioni più affascinanti ed amate del gruppo, ed anche una prova lampante dell’eccellenza raggiunta da Alan Wilder e soci nell’uso di sample – con motori d’automobile e motocicletta trasformati in beat ipnotici.
“Here Is the House” è finalmente pronta ad abbandonare – anche se solo per una manciata di minuti – il nichilismo che pervade l’album. Proprio come la casa cantata da Dave Gahan, è un’isola del mondo, un rifugio ed un’ancora, resa possibile soltanto da un sentimento autentico.
Ma l’umore cupo che guida “Black Celebration” ritorna ben presto sulle note di “World Full of Nothing”, con liriche sibilline cariche di suggestione elegantemente stese in una cornice di cosciente precarietà.
Donne simboliche dall’aspetto assoluto s’impongono all’attenzione nelle due tracce conclusive. In “Dressed in Black” dietro alla solennità dei synth si nasconde un gioco di seduzione di abilissimo intrigo. “New Dress” apre invece gli occhi alla realtà e ai quotidiani orrori che investono il mondo: la donna che ricorre, antitetica ed emblematica, è “Princess Di wearing a new dress”. Una figura che, unica nell’album, tradisce i segni del tempo – cosa che non accade con il resto del messaggio cupo lanciato dai Depeche Mode a metà anni Ottanta, così vigile ed illuminante da risultare più attuale che mai.