Coney Island Baby
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1. Crazy Feeling 2:50
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2. Charley’s Girl 2:35
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3. She’s My Best Friend 5:59
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4. Kicks 6:00
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5. A Gift 3:45
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6. Ooohhh Baby 3:45
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7. Nobody’s Business 3:45
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8. Coney Island Baby 6:35
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9. Nowhere at All 3:10
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10. Downtown Dirt 4:17
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11. Leave Me Alone 5:33
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12. Crazy Feeling 2:38
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13. She’s My Best Friend 4:09
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14. Coney Island Baby 5:47
Quando Lou Reed pubblica “Coney Island baby” nel tardo 1975, ha 33 anni e ha già vissuto almeno quattro vite artistiche. È stato una delle anime dei Velvet Underground, poi un glam rocker di grande successo, un animale da palcoscenico, un musicista riottoso in lotta con l’ex manager e la casa discografica. È dipendente da anfetamina, dicono sia intrattabile. Sicuramente è imprevedibile. Pur di pubblicare “Berlin”, capolavoro incompreso del 1972, firma un contratto che lo costringe a dare alle stampe due altri album dall’appeal commerciale come “Transformer”. Il primo è il live “Rock’n’roll animal”, il secondo “Sally can’t dance”, entrambi del 1974. L’anno successivo, in un gesto clamoroso che passerà alla storia, Reed dà alle stampe il doppio “Metal machine music” composto da distorsioni, dissonanze e stratificazioni chitarristiche, un potente vaffanculo all’industria discografica che non fa bene alle sue finanze e viene ritirato dai negozi dopo appena tre settimane. “Non avevo soldi, né chitarre”, scriverà. Il presidente della RCA Ken Glancy gli offre un’ultima chance: la pubblicazione di un disco nuovo, purché non sia “Metal machine music 2”.
Il risultato è “Coney Island baby” dove, sin dalla foto di copertina, Reed abbandona il personaggio dell’animale rock’n’roll. Il disco è effettivamente più facile dei precedenti, non ha il carattere ombroso di “Berlin”, complice forse l’amore per una drag queen di nome Rachel con la quale Reed si accompagnerà per alcuni anni. Registrato in una settimana, dal 18 al 25 ottobre 1975, il disco segna l’approdo a una forma di canzone più semplice ed è, anche, una reazione alle cause che il musicista sta affrontando, contro l’ex manager Dennis Katz e suo fratello e produttore Steve Katz. “Ci si stanca di litigare con la gente”, dirà Reed. “Cercai di specializzarmi nell’arte di incidere catturando l’attimo e lasciandolo così com’è. ‘Coney Island baby’ è stato registrato così. Vai in studio senza niente, lo scrivi su due piedi, butti giù i testi mentre il nastro gira e basta”.
Affiancato dal fonico Godfrey Diamond, Reed imbastisce canzoni dal suono elettro-acustico rotondo e dettagliato a partire da “Crazy feeling”, che racconta l’incontro con una donna, forse Rachel: lei che entra nel bar e i “fighetti incravattati” che le pagano i drink. “Ooohh baby” è un altro ritratto, questa volta di una spogliarellista, mentre la dolce “A gift” fa sorridere con il suo ritornello “Sono un regalo per le donne di questo mondo”, un esempio del senso dell’umorismo che si fa strada nella cruda narrazione di Reed. Non mancano i richiami al passato. “Charley’s girl” ha un’andatura che rimanda a “Walk on the wild side”, anche se è un ammonimento a stare lontani dalla droga (Charley potrebbe essere l’eroina), mentre “She’s my best friend” proviene, rallentata, dal repertorio inedito dei Velvet Underground (la versione della band sarà pubblicata nel 1985). Tra i musicisti presenti nell’album ci sono Bob Kulick, chitarrista destinato a entrare nei Kiss, il bassista Bruce Yaw, il batterista Michael Suchorsky.
Ristampato nel 2006 con l’aggiunta di sei bonus track, “Coney Island baby” è l’album della normalizzazione del talento di Lou Reed. Pur inserendo riferimenti alla droga e alla vita di strada, il rocker rinuncia alla gelida descrizione della realtà di altre opere e la sua musica assume un calore e una semplicità inedite. Nel brano che dà il titolo all’album il rock’n’roll animal getta la maschera e in un inno alla “gloria dell’amore” confessa il suo più recondito desiderio: essere accettato. Non sei era mai sentito un Lou Reed così sfacciatamente sentimentale. Ma si tratta pur sempre dell’autore di “Heroin” e quindi a metà disco piazza i sei minuti di “Kicks”, una conversazione sul disperato bisogno di stimoli, anche violenti. “Quando hai sfregiato quell’uomo col coltello, amico, l’hai fatto con una tale noncuranza. Quando il sangue gli colava sul collo non è stato persino meglio del sesso?”.