For Those About To Rock (We Salute You)
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1. For Those About to Rock (We Salute You) 5:43
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2. I Put the Finger on You 3:26
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3. Let’s Get It Up 3:54
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4. Inject the Venom 3:31
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5. Snowballed 3:23
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6. Evil Walks 4:23
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7. C.O.D. 3:20
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8. Breaking the Rules 4:23
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9. Night of the Long Knives 3:25
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10. Spellbound 4:30
Sebbene sia difficile da comprendere e giustificare, è prassi quasi abituale da parte di critici sempre molto indulgenti con se stessi, la bocciatura di un album che idealmente subentra ad un predecessore blasonato, solido musicalmente e in più premiato commercialmente da milioni di copie vendute. Un caso plateale ed emblematico di questo assurdo esercizio si determinò nel 1972 quando il doppio LP “Exile on Main St.” dei Rolling Stones (preceduto di un anno da “Sticky fingers) fu letteralmente demolito da Lester Bangs, titolato critico della rivista “Creem”, e dal musicista/critico Lenny Kaye autore di una recensione estremamente negativa apparsa sulle pagine di “Rolling Stone”. Stessa sorte toccò nel 1981 agli AD/DC che si scontrarono con un sensibile numero di critiche sfavorevoli al loro “For those about to rock we salute you”. Il disco era stato pubblicato circa quindici mesi dopo “Back in black”, album che aveva meritatamente ottenuto elogi diffusi, e benevoli generalizzati giudizi. È però necessario ricordare che l’attesa e le attenzioni per quel lavoro erano anche dovute all’esordio come cantante di Brian Johnson che andava ad occupare l’ingombrante ruolo rimasto vacante dopo la morte della storica voce degli AC/DC, quel Bon Scott che dopo una notte di smoderate bevute aveva probabilmente perduto i sensi ed era rimasto soffocato nei suoi rigurgiti. Malgrado la tiepida, a volte glaciale accoglienza dei critici, “For those about to rock we salute you” almeno una conferma la offriva: il nuovo cantante sosteneva lo spazio vocale con una grinta ed una destrezza che incontravano soltanto la disapprovazione dei più nostalgici ed oltranzisti tra i fan del gruppo di base in Australia. L’integrazione del cantante era stata immediata, ma soprattutto la scelta dei fratelli Young era stata perfettamente centrata. Dopo la morte di Bon Scott la tentazione di smettere era balenata tra gli elementi della band ed è probabile che sia da attribuire ad un vero prodigio se invece di mollare, il gruppo divenne più coeso riuscendo a produrre, con un immane impegno, quel “Back in black” palesemente dedicato alla memoria dell’amico perduto e non solo nel colore nero scelto per la copertina, ricordiamo infatti che l’album apre con 13 rintocchi di una campana a morto. Con “For those about to rock we salute you” si conclude l’avventura di Robert John Lange, il produttore che con il suo solido quanto convincente apporto ha permesso agli AC/DC di ricavarsi un autorevole spazio nella storia della musica rock: d’altronde una trilogia come “Highway to hell”, “Back in black” e “For those about to rock we salute you” non molti produttori possono attestarla. Dopo di lui si alterneranno vari personaggi: Harry Vanda e George Young, che avevano prodotto i primi cinque lavori in studio, tornano per “Blow up your video”, poi, per la prima volta in piena autonomia, George Young, fratello maggiore di Angus e Malcolm, li assisterà dalla sala regia per “Stiff upper lip”. Alcuni critici decisamente malevoli sottolineavano come “For those about to rock we salute you” suonasse diverso dall’album che lo aveva preceduto ed in effetti questa considerazione è pienamente condivisibile, l’intero disco si scosta dai suoni e dalla scrittura di “Back in black”, non ne echeggia la nervosa irrequietezza, anzi in molti episodi appare essere più misurato e pacato. Oltre ad essere immotivato, questo era un commento sferrato a salve perché l’organizzazione dei brani, la tessitura ritmica, la stessa esecuzione altro non facevano che confermare lo stato di grazia di una band ancora sbilanciata dopo la perdita di quello che Angus e Malcolm hanno detto di ritenere come un loro fratello. Con “For those about to rock we salute you” cambia decisamente l’intenzione, cioè quell’impalpabile quanto indefinibile componente espressiva che può essere descritta, sebbene con molta approssimazione, come sintesi tra l’approccio fisico, psicologico, emozionale e culturale nell’emanazione della musica. Una delle frasi abituali che Angus ripeteva in quegli anni a chi gli faceva domande sulla genesi dei brani della band, suonava pressappoco così: ”Tutto ha inizio dal ritmo: il ritmo è la base e il feeling di quello che suoniamo. Vogliamo che il pubblico risenta fisicamente dell’energia che tiriamo fuori, che sprigioniamo. Vogliamo che la gente si nutra di ogni singolo watt sparato dalla nostra amplificazione.” Questa è una risposta esaustiva, nella quale la centralità è da accordare al termine ‘feeling’ su cui si muove ogni espressione musicale, è parola che rimanda anche a ‘intenzione’, proposito, mira e quant’altro si voglia destinare al concretarsi della musica. “For those about to rock we salute you” apre con la traccia omonima, esplosiva combinazione degli elementi cari agli AC/DC; tutto funziona perfettamente, anche quel finale chiassoso e turbolento metodicamente organizzato e rimpinguato con l’aggiunta di inurbane cannonate. Segue ‘Put the finger on you’ brano potente, trascinante, efficace che si accorda meravigliosamente con il concetto di classico. ‘Let’s get it up’ sorprende perché è brano speculare al precedente e conferma le inossidabili qualità dell’impronta AC/DC. Con ‘Inject the venom’ è proprio il caso di dire che la musica cambia in favore di una dualità che vede schierati e fusi gli ingredienti caratteristici della musica della band, i loro stilemi, e le peculiari, storiche strutture tipiche del rock: l’assolo è di quelli che non si dimenticano. ‘Snowballed’ spinge a chiederci come mai una certa critica si sia schierata contro l’intero lavoro, siamo infatti a ridosso della perfezione, il climax ricercato è raggiunto. Ancora una volta è necessario sottolineare come Angus sappia far esplodere l’assolo con eleganza inaudita. ‘Evil walks’, ‘Breaking the rules’ e ‘Spellbound’ annunciano gli AC/DC meno adrenalitici; nell’ottica del seguace integralista del gruppo, questi sono brani ‘lenti’ che rifuggono l’indiavolato ritmo che sempre a distinto la band: pura falsità e ottuso conservatorismo. Con ‘C.O.D.’ e ‘Night of the long knives’ l’album riprende quella motricità che gli AC/DC sanno esprimere a livelli difficilmente raggiunti negli anni da altri gruppi.
“For those about to rock we salute you” non denuncia in effetti punti deboli, si rispecchia in “Back in black” e lo scavalca non in qualità, ma in progettualità.
E’ album con pari intensità sebbene più ‘meditativo’, la sua spinta propulsiva è gestita diversamente, ma ad un emblematico traguardo questi due album se la giocherebbero al foto-finish con eguali possibilità di affermazione. Per quanto riguarda il titolo Angus Young racconta di aver letto un vecchio libro sui gladiatori intitolato, “For those about to die, we salute you” che riprendeva quindi la formula latina gridata dai gladiatori, come saluto all’Imperatore, prima dei combattimenti: “Morituri te salutant”, vale a dire “Coloro che stanno per morire ti salutano”. Da qui, “Coloro che stanno per fare rock, vi salutano”. Il libro citato da Angus Young dovrebbe essere in realtà “Those about to die” dell’americano Daniel Mannix pubblicato nel 1958.