
Genealogia
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1. Genealogia 8:24
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2. Polaris 5:02
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3. Torre Del Lago 3:09
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4. Via Beato Angelico 4:57
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5. In Vino Veritas 6:45
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6. Monti Pallidi 4:31
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7. Grandi Spazi 3:39
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8. Old Vienna 3:24
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9. Sidney’s Call 4:58
“Anche Mandrake entra nel Perigeo”, titola L’Espresso nel 1974. La band sta lavorando con il percussionista brasiliano naturalizzato italiano Ivanir do Nascimento detto Mandrake e il settimanale ne dà notizia in un breve articolo sul terzo album della formazione. Si intitola “Genealogia”, la rivista lo definisce “molto gradevole”, finirà per essere uno dei punti di riferimento del jazz-prog italiano. Elucubrazioni, stranezze e intellettualismi sono lasciati da parte: pur essendo un album interamente strumentale, e quindi non facilmente commerciabile, “Genealogia” è fino a quel momento il disco più scorrevole e “facile” dei Perigeo. È anche un album di luoghi e ricordi, quasi un collezione di memorie di posti cari ai membri formazione, da “Torre del lago” a “Via Beato Angelico” passando per i “Monti pallidi”, i “Grandi spazi” e la “Old Vienna”. Quasi una mappa sentimentale.
Esploratori della terra di nessuno al confine fra jazz-rock e progressive, i Perigeo cambiano continuamente pelle. Ispirati da Miles Davis e dai Weather Report, ai quali vengono spesso accostati, hanno la contaminazione nel dna, forse per via della line-up variegata: il leader, contrabbassista e bassista elettrico Giovanni Tommaso è affiancato da jazzisti come il pianista Franco D’Andrea e il sassofonista Claudio Fasoli, dal chitarrista rock Tony Sidney, dal batterista versatile Bruno Biriaco. Il processo evolutivo del gruppo passa attraverso le atmosfere sospese del secondo album “Abbiamo tutti un blues da piangere” e si compie in “Genealogia” dentro cui s’amalgamano gli stili prediletti dalla band e dove Tommaso fa uso del Moog.
Ce n’è per tutti i gusti. Gli amanti del prog che in quegli anni spopola in Italia gioiscono per la struttura “narrativa” del brano che dà il titolo all’album e che lo apre, mentre i jazzofili apprezzano l’assolo ubriacante di Fasoli di “(In) Vino veritas”, pezzo che richiama anche certe cose dei King Crimson. Gli appassionati di fusion trovano “Polaris” che rimanda agli amati Davis e Weather Report. Il pezzo più popolare è però “Via Beato Angelico”: inizio da colonna sonora di un film di Dario Argento o da minimalismo americano, spettacolare entrata prog della batteria, svolgimento guidato dalla chitarra elettrica che evoca certi temi melodici dei primi Santana. Tutto l’album è una festa per le orecchie degli appassionati del Canterbury Sound, la variante di progressive nata in Inghilterra incline alla contaminazione con il jazz.
Il cambiamento parte dalla composizione dei pezzi, un tempo frutto per lo più del lavoro di Giovanni Tommaso, ora più equamente distribuita fra i membri del gruppo. Risultato: il gruppo suona più coeso che mai, pur lasciando spazio ai talenti dei singoli musicisti. Fasoli si prende “Grandi spazi”, mentre Sidney è co-autore di “Sidney’s call”, il brano che chiude l’album in modo cinematografico. Da “Genealogia” in poi, ha ricordato Fasoli, “Giovanni ha invitato tutti a portare del materiale. Io ricordo che da Milano mi trasferii a Roma per 15-20 giorni e che, negli studi della RCA, ci dedicavamo alla messa a punto di questo repertorio. Un lavoro molto duro, di intere settimane. Basti pensare che nella reunion del ’93, per riproporre quel repertorio, abbiamo dovuto provare una settimana intera”. È la magia dei Perigeo: essere facili e al tempo stesso complessi.