Highway To Hell
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1. Highway to Hell 3:26
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2. Girls Got Rhythm 3:23
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3. Walk All over You 5:08
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4. Touch Too Much 4:24
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5. Beating Around the Bush 3:55
Malgrado fosse reputata anacronistica e sorpassata, ascoltando nel 1978 o nel 1979 una valida selezione di musica rock, magari in compagnia di amici, ci si interrogava su come sarebbe stato possibile rimuovere e soppiantare nell’immaginario quel John Travolta, alias Tony Manero, che in “La febbre del sabato sera” danza in splendida solitudine sulle note di ‘You should be dancing’ o, assieme a Karen Lynn Gorney, alias Stephanie Mangano, balla la provocante, lasciva ‘More than a woman’. Quelle coreografie efficaci e smaglianti, raffiguravano ed incarnavano la disco music, fissandola nel tempo, mentre sequenze di una pari efficacia il rock, nella fiction cinematografica, non ne aveva ancora mai espresse e nulla quindi era possibile a quelle comparare. Gli anni ’70 stavano oramai per congedarsi languidamente: alla disco music e all’effimero in musica si erano già contrapposti il punk, l’heavy metal, un rigurgito country, nuovi incroci ornati di etnico e una scena hard rock che negli AC/DC aveva individuato il gruppo di riferimento, alfiere di un cambiamento di gusto e di percezione che aveva provocato l’ampiamento di un target sensibile alla dura tendenza. Un gruppo che barricandosi dietro a riff o giri armonici trascinanti, assolo epidermici, una voce graffiante e testi macho, si predisponeva a contrastare e controbattere tutto ciò che gli esili eighties ci avrebbero riservato. E’ l’estate del 1979 quando molte radio statunitensi ed europee trasmettono un brano irresistibile, adrenalinico, quel ‘Highway to hell’ che provoca un’immediata assuefazione, una pericolosa dipendenza per chiunque all’hard rock si accosti. Tramite questi 3 minuti e 26 secondi, in una scena rock che pur annoverava Led Zeppelin, Rolling Stones, Deep Purple, si stabilì del tutto autonomamente una sorta di supremazia elettiva che indicava il futuro del rock nel linguaggio adottato, intuito e professato dai fratelli Angus e Malcolm Young. In questa loro proposta si coniugavano a meraviglia la passione, l’emozione e l’esattezza matematica del ritmo senza, che si annientassero a vicenda. L’album “Highway to hell” è stato preparato con modalità inedite: la produzione, da sempre commissionata a Harry Vanda e George Young, fratello maggiore dei due AC/DC, viene stavolta affidata a Robert John Lange personaggio di fiducia dell’etichetta Atlantic che rappresenta il gruppo negli Stati Uniti. La scelta iniziale era caduta su Eddie Kramer, l’uomo che aveva seguito Hendrix, Led Zeppelin ed altre icone del rock. I rapporti tra i fratelli Young e Eddie Kramer furono da subito tesi, disastrosi e presto Kramer rinunciò all’incarico. Oltre al cambio di produttore si decise che il gruppo avrebbe inciso a Londra ai Roundhouse Studios, rinunciando così a quella sala di registrazione di Sydney dove sinora erano nati tutti brani incisi dagli AC/DC. Dopo momenti di tensione con la dirigenza dell’etichetta, Angus e Malcolm si dissero disponibili a tutti i cambiamenti richiesti sebbene l’allontanamento del loro fratello maggiore fu incassato a fatica. Il tentativo di offrire alla band un nuovo make-up ebbe benefici effetti: l’album fu inciso con una tranquillità che mai il gruppo aveva potuto avere, le settimane a disposizione per prove, scrittura dei pezzi ed incisioni, missaggi e mastering si erano raddoppiate. Il prodotto finito si discostava dalle precedenti pubblicazioni anzitutto per il sound ottenuto grazie all’esperienza di sala di Lange. Malgrado i suoni realizzati nelle precedenti incisioni fossero sempre stati corposi e poderosi, ora, pur mantenendo queste prerogative, divengono letali. L’attacco di ‘Highway to hell’ è devastante: soltanto chitarra per un riff tribale, e poi batteria a creare un dialogo serrato, diretto, senza ingerenze, un discorso quasi eterofonico tra due strumenti che preparano un tappeto sonoro per l’entrata del cantante che, su chitarra e batteria si plasma, stimolando e delineando di fatto un prorompente ingresso del basso che anticipa di non molto l’esplosivo ritornello e poi l’inevitabile assolo acrobatico di Angus. Parlare del secondo brano richiede un chiarimento: ‘Girl got rhythm’ si sviluppa su un autentico riff e non sul giro di accordi tipico di Malcolm Young, divenuto nel frattempo indelebile marchio di fabbrica. Il riff è una frase ritmico melodica iterata su cui si adagia e svolge una melodia: riff è quello di ‘Whola lotta love’, di ‘Smoke on the water, di Brown sugar’. La musica degli AC/DC è invece espressione di una selvaggia primordialità, di una costruzione armonica pre-riff. ‘Girl got rhythm’ suona infatti diversa dai tipici brani assemblati dai fratelli Young perché è poggiata su un vero riff, la diversità strutturale è evidente se si paragona questo pezzo con ‘Shot down in flames’ altra perla nella discografia del gruppo o ‘If you want blood (You’ve got it) muscolosa esplorazione rock arricchita da un assolo che potrebbe considerarsi di riferimento. Le dieci tracce dell’album hanno sapori diversi, l’intrigante ‘Touch too much’ rimanda ai primi Kiss che forse qualche debito con il glamour rock probabilmente avevano e quindi, per traslato, questo debito anche gli AC/DC palesano. ‘Love hungry man’ è l’episodio più atipico e originale dell’intero “Highway to hell”: se non fosse una eresia soltanto accennarne, questo potrebbe essere descritto come un pezzo pop-rock con ingerenze disco. Anche ‘Walk all over you’ può essere stigmatizzato come riconducibile ad un ambito pop, il ritornello lo in modo evidente. Come vuole una consuetudine invero non sempre rispettata, il brano che chiude l’album è una immersione nel blues, un blues che nelle mani dei due chitarristi trova nuovi spunti pur nel rispetto di una tradizione da loro venerata e rispettata. I 6 minuti e 13 secondi di suggerimenti blues esposti in ‘Night prowler’ servono a dichiarare e provare, se ancora fosse necessario, da dove origina la loro musica. Il cammino intrapreso dalla lontana Australia sembra a questo punto essere stato finalmente premiato, “Highway to hell” è un album da altissime posizioni nelle chart, le richieste per concerti rischiano addirittura di non poter essere soddisfatte, quel successo locale estesosi neanche troppo timidamente ad Europa e Stati Uniti grazie a “Let there be rock”, è ora di carattere planetario. La band è affiatata, alcuni ammiccamenti suggeriti ed accettati hanno apportato significativi risultati sia a livello musicale e di resa sonora, sia economicamente. I sostenitori più intransigenti della band avvertono un cambiamento e non lo valutano negativamente, con “Highway to hell” gli AC/DC hanno dato una sferzata decisa e rabbiosa ad una scena sin troppo statica, i brani hanno quell’impatto che da ora distinguerà le loro incisioni, la scrittura dei brani sembra aver trovato nuova vitalità supportata com’è da un lavoro molto circoscritto e dettagliato sui suoni delle chitarre e, forse, per la prima volta su quelli di basso e batteria. Il basso di Cliff Wiliams, come già in alcuni brani di “Powerage”, intraprende figurazioni prima inimmaginabili perché valutate eccentriche, il nuovo maquillage è indubbiamente riuscito ed il risultato premia alcune scelte apparentemente impopolari operate da Angus e Malcolm. Il futuro sarà forse anche più radioso, ma proprio nell’immediato, questa autostrada per l’inferno, cela qualcosa di oscuro che si agita malevolmente. Il 19 febbraio del 1980, Bon Scott fu ritrovato senza vita sul sedile posteriore di automobile di proprietà di un conoscente. Pochi giorni prima era in studio per seguire Angus e Malcolm che provavano alcuni brani poi apparsi su “Back in black”.