I’m Your Man
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1. First We Take Manhattan 6:00
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2. Ain’t No Cure for Love 4:49
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3. Everybody Knows 5:34
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4. I’m Your Man 4:26
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5. Take This Waltz 5:58
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6. Jazz Police 3:51
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7. I Can’t Forget 4:29
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8. Tower Of Song 5:37
Nel 1984 Leonard Cohen pubblica “Various positions”: è il suo primo disco della decade. Contiene due delle sue più grandi canzoni di sempre: “Dance me to the end of love” e “Hallelujah”. Anche se il successo di quest’ultima – oggi forse considerata la sua più famosa – è successivo. Il percorso della canzone è talmente complesso che è stato scritto un libro sulla sua fama: “The Holy or the Broken: Leonard Cohen, Jeff Buckley & the Unlikely Ascent of ‘Hallelujah’, di Alan Light.
In buona parte è derivato proprio dalla versione di Jeff Buckley, che l’aveva ascoltata da John Cale, che a sua volta l’aveva ripresa nel ‘91. Riascoltare oggi la versione originale fa uno strano effetto: Cohen, stava sperimentando con i suoni tipici del periodo, tastiere e arrangiamenti molto diversi da quelli che darà alle sue canzoni nella fase finale della sua carriera, in particolare nei tour successivi al 2008.
Questo suono trova compimento in uno dei suoi album più noti, e amati, “I’m your man” del 1988.
ll periodo tra i due album è segnato soprattutto dal suo ritorno alla popolarità anche se per via indiretta, grazie a “Famous Blue Raincoat”, l’album di cover di Jennifer Warnes del 1987 che conterrà l’allora inedita “First we take Manatthan”.
La versione reincisa apre il nuovo album, che esce esattamente un anno dopo. Il disco venne registrato tra Los Angeles e Montreal con l’aiuto dei produttori Roscoe Beck, Jean-Michel Reusser e Michel Robidoux. E fin dalle prime note si sente come il lavoro di studio insista su drum machine, synth, sequencer, pur senza stravolgere il suono e le melodie di Cave.
Per tutto il disco vale la recente affermazione di Dylan: “Quando la gente parla di Leonard, si dimentica di ricordare le sue melodie, che per me, assieme alle sue parole, costituiscono il suo più grande genio”. Su entrambi i versanti, quello lirico e quello melodico, l’album contiene diverse tra le canzoni più note e amate di Cohen. La già citata “First we take Manhattan”, diversa dalla versione della Warnes sia per il suono (qua molto elettronico, là con un assolo di Stevie Ray Vaughan), sia per il testo, con versi aggiuntivi. La title track, ovviamente. Ma non sono da sottovalutare anche “Take this waltz” ed “Everybody knows”. La prima è basata su una poesia di Federico García Lorca, già pubblicata nell’86 su un disco tributo al poeta e qua rielabora con la presenza di Jennifer Warnes. La seconda è co-firmata dalla corista Sharon Robinson. La collaborazione si ripeterà in “Waiting for the Miracle” in “The future” del ’92 e alla cantante verrà accreditato, o quasi, il disco del ritorno “Ten new songs” del 2001. La Robinson comparirà in copertina, ma non il suo nome, anche se le canzoni saranno accreditate ad entrambi.
Ma, per molti versi, la canzone centrale è “Tower of song”, che conclude l’album: “I was born like this, I had no choice/I was born with the gift of a golden voice”, canta Cohen.
“I’m your man” è il disco in cui Cohen prende sicurezza nell’uso della voce e nel suo ruolo di cantante. Come racconterà qualche tempo dopo: ”Su ‘I’m Your Man’ la mia voce si era stabilizzata, e non mi sentivo più ambiguo. Potevo cantare canzoni con l’intensità e con l’autorevolezza necessaria”. Il brano è quello in cui Cohen riflette sul suo ruolo di autore di canzoni e di cantante: nel 2008 Cohen venne ammesso alla Rock and Roll Hall of Fame e non a caso, nella cerimonia, scelse di recitare il testo di questa canzone.
Notevole anche la copertina: tranne quella dell’album finale “You want it darker”, quelle successive sarebbero state spesso brutte o banali nella grafica e nel lettering. Ma questa copertina presenta Cohen che mangia una banana, in una foto rubata sul set del videoclip di “First we take Manhattan” della Warnes. Un perfetto esempio dello stile misto a sarcasmo di Cohen.
Il disco fu un successo, di critica e di vendite: andò al numero uno in diversi paesi (Gran Bretagna e Norvegia, dove vi rimase addirittura per 16 settimane), ma soprattutto venne ricevuto in maniera entusiastica dalla critica: “Il primo album di Cohen che si può ascoltare durante il giorno”, scrisse Rolling Stone”. E, a distanza di quasi 30 anni, rimane uno dei grandi capolavori della discografia di Cohen.