Jar Of Flies
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1. Rotten Apple (J. Cantrell, L. Staley, M. Inez) 6:56
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2. Nutshell (S. Kinney, L. Staley, M. Inez, J. Cantrell) 4:16
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3. I Stay Away (J. Cantrell, L. Staley, M. Inez) 4:14
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4. No Excuses (J. Cantrell) 4:16
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5. Whale & Wasp (J. Cantrell) 2:35
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6. Don’t Follow (J. Cantrell) 4:21
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7. Swing On This (S. Kinney, L. Staley, M. Inez, J. Cantrell) 4:01
È il primo EP della storia entrato direttamente al numero 1 della classifica di vendita americana. Ma è anche una registrazione unica nel suo genere che fotografa lo stato di grazia degli Alice In Chains e la loro capacità di trasformare l’inquietudine in una forma originale di bellezza. Pur non essendo il suo primo lavoro semi-acustico del quartetto di Seattle, “Jar of flies” ne allarga la tavolozza di colori facendo uso, ad esempio, di violino, viola, violoncello. Ed è, anche, il frutto di una precisa strategia artistica: scrivere e incidere velocemente, nel giro di pochi giorni, in modo se possibile spontaneo, trasformare i dischi nella testimonianza di un’urgenza e non di un calcolo.
Nell’estate del 1993 gli Alice In Chains sono nell’occhio del ciclone. Hanno pubblicato un album di formidabile rilevanza intitolato “Dirt” che pur essendo uscito nel settembre dell’anno precedente è ancora in classifica. Vengono da Seattle, sono amici dei musicisti del giro grunge, ma non c’entrano granché con la scena che si è coagulata attorno all’etichetta Sub Pop. Prediligono una forma di hard rock meno influenzato dal punk e accostabile piuttosto al metal tradizionale, eppure il successo di “Dirt” e l’inclusione nel film di Cameron Crowe “Singles” li porta ad essere accostati alla sacra trinità del grunge formata da Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden. Il culmine di quella stagione di successo è la partecipazione al Lollapalooza, il festival itinerante controculturale fondato da Perry Farrell dei Jane’s Addiction, simbolo del rock alternativo anni ’90.
Chiuso l’impegno con il Lollapalooza, i musicisti tornano a Seattle dove – così dice la leggenda – si ritrovano sfrattati: nessuno si è ricordato di pagare l’affitto. Si rifugiano ai London Bridge Studios, la sala d’incisione già usata per i precedenti lavori e teatro della registrazione di “Ten” dei Pearl Jam. Entrano in studio il 7 settembre 1993 senza avere una sola canzone in mano. L’idea è registrare alcune jam utilizzando una strumentazione per lo più (ma non esclusivamente) acustica. “Venivamo da 5.000 miglia di tour durante il quale avevamo suonato musica assordante ogni sera”, spiegherà Staley, “perciò volevamo solo metterci lì con le chitarre acustiche e vedere che cosa sarebbe accaduto”. Scrittura e registrazione portano via una sola settimana, pochissimo per gli standard di un gruppo sotto contratto con una major, e il 14 settembre gli Alice In Chains escono dalla sala d’incisione con un pugno di canzoni, sette pezzi per trentuno minuti di musica che vengono mixati con Wright nel giro di un’altra settimana.
Pubblicato in un periodo di grande popolarità per la musica acustica, grazie al programma MTV Unplugged, “Jar of flies” non rappresenta un’anomalia nel percorso degli Alice In Chains che nel 1992 hanno pubblicato l’EP acustico “Sap”. Se i suoni feroci di “Dirt” erano uno sfondo formidabile a storie di degradazione raccontate con i toni vividi del dramma, quelli elettro-acustici e funebri di “Jar of flies” accompagnano panorami interiori desolanti. Persino il suono talk box della chitarra che si appoggia sul giro di basso di Inez in “Rotten apple” non ha l’aria kitsch che solitamente si porta dietro quel tipo di effetto, ma diventa un lamento struggente e sinistro che apre la strada alle prime, significative parole pronunciate da Staley: “L’innocenza è finita”.
Se “Nutshell” trasmette un senso di rassegnazione, e si culla quasi nell’angoscia, “I stay away” è schizofrenica e alterna una strofa quasi luminosa, con una breve frase chitarristica accompagnata dagli archi, e un ritornello elettrico che ha qualcosa di sadico. La canzone sarà pubblicata come singolo e otterrà una nomination ai Grammy come Best Hard Rock Performance. Per lanciare l’album viene scelta “No excuses” e la cosa non stupisce. Scritta interamente dal chitarrista Jerry Cantrell, è forse la canzone più immediata degli Alice in Chains, con un bell’intreccio di chitarre tintinnanti, una linea plastica di basso e un lavoro percussivo incisivo ma leggero. Il testo intonato a due voci è stato interpretato come una sorta di lettera di Cantrell a Staley riguardo il loro rapporto tormentato: “Amico mio, ti difenderò e se cambieremo ti amerò comunque”.
Primo lavoro inciso con Inez, che dimostra di essere uno strumentista sensibile e un autore capace, partecipando alla scrittura di quattro canzoni su sette, “Jar of flies” esce nel gennaio 1994 ed è il primo disco degli Alice In Chains ad arrivare al numero uno in classifica. Saranno tratti tre singoli di cui “No excuses” è quello di maggior successo. È il momento di raccogliere quanto seminato con un tour previsto nell’estate 1994 al fianco di Metallica, Suicidal Tendencies e Danzig, ma Staley riprende a farsi d’eroina, l’armonia fra i musicisti vissuta in sala d’incisione si rompe, la band cancella la partecipazione alla tournée e prende alcuni mesi di pausa. A oltre vent’anni dall’uscita, “Jar of flies” è considerato uno dei momenti più alti degli Alice In Chains. Con quattro milioni di copie vendute nel mondo, è anche il loro disco di maggior successo. Un mezzo prodigio per un EP nato quasi per caso, scritto e inciso nel giro di una sola settimana.
e la loro capacità di trasformare l’inquietudine in una forma originale di bellezza. Pur non essendo il suo primo lavoro semi-acustico del quartetto di Seattle, “Jar of flies” ne allarga la tavolozza di colori facendo uso, ad esempio, di violino, viola, violoncello. Ed è, anche, il frutto di una precisa strategia artistica: scrivere e incidere velocemente, nel giro di pochi giorni, in modo se possibile spontaneo, trasformare i dischi nella testimonianza di un’urgenza e non di un calcolo.
Nell’estate del 1993 gli Alice In Chains sono nell’occhio del ciclone. Hanno pubblicato un album di formidabile rilevanza intitolato “Dirt” che pur essendo uscito nel settembre dell’anno precedente è ancora in classifica. Vengono da Seattle, sono amici dei musicisti del giro grunge, ma non c’entrano granché con la scena che si è coagulata attorno all’etichetta Sub Pop. Prediligono una forma di hard rock meno influenzato dal punk e accostabile piuttosto al metal tradizionale, eppure il successo di “Dirt” e l’inclusione nel film di Cameron Crowe “Singles” li porta ad essere accostati alla sacra trinità del grunge formata da Nirvana, Pearl Jam e Soundgarden. Il culmine di quella stagione di successo è la partecipazione al Lollapalooza, il festival itinerante controculturale fondato da Perry Farrell dei Jane’s Addiction, simbolo del rock alternativo anni ’90.
Chiuso l’impegno con il Lollapalooza, i musicisti tornano a Seattle dove – così dice la leggenda – si ritrovano sfrattati: nessuno si è ricordato di pagare l’affitto. Si rifugiano ai London Bridge Studios, la sala d’incisione già usata per i precedenti lavori e teatro della registrazione di “Ten” dei Pearl Jam. Entrano in studio il 7 settembre 1993 senza avere una sola canzone in mano. L’idea è registrare alcune jam utilizzando una strumentazione per lo più (ma non esclusivamente) acustica. “Venivamo da 5.000 miglia di tour durante il quale avevamo suonato musica assordante ogni sera”, spiegherà Staley, “perciò volevamo solo metterci lì con le chitarre acustiche e vedere che cosa sarebbe accaduto”. Scrittura e registrazione portano via una sola settimana, pochissimo per gli standard di un gruppo sotto contratto con una major, e il 14 settembre gli Alice In Chains escono dalla sala d’incisione con un pugno di canzoni, sette pezzi per trentuno minuti di musica che vengono mixati con Wright nel giro di un’altra settimana.
Pubblicato in un periodo di grande popolarità per la musica acustica, grazie al programma MTV Unplugged, “Jar of flies” non rappresenta un’anomalia nel percorso degli Alice In Chains che nel 1992 hanno pubblicato l’EP acustico “Sap”. Se i suoni feroci di “Dirt” erano uno sfondo formidabile a storie di degradazione raccontate con i toni vividi del dramma, quelli elettro-acustici e funebri di “Jar of flies” accompagnano panorami interiori desolanti. Persino il suono talk box della chitarra che si appoggia sul giro di basso di Inez in “Rotten apple” non ha l’aria kitsch che solitamente si porta dietro quel tipo di effetto, ma diventa un lamento struggente e sinistro che apre la strada alle prime, significative parole pronunciate da Staley: “L’innocenza è finita”.
Se “Nutshell” trasmette un senso di rassegnazione, e si culla quasi nell’angoscia, “I stay away” è schizofrenica e alterna una strofa quasi luminosa, con una breve frase chitarristica accompagnata dagli archi, e un ritornello elettrico che ha qualcosa di sadico. La canzone sarà pubblicata come singolo e otterrà una nomination ai Grammy come Best Hard Rock Performance. Per lanciare l’album viene scelta “No excuses” e la cosa non stupisce. Scritta interamente dal chitarrista Jerry Cantrell, è forse la canzone più immediata degli Alice in Chains, con un bell’intreccio di chitarre tintinnanti, una linea plastica di basso e un lavoro percussivo incisivo ma leggero. Il testo intonato a due voci è stato interpretato come una sorta di lettera di Cantrell a Staley riguardo il loro rapporto tormentato: “Amico mio, ti difenderò e se cambieremo ti amerò comunque”.
Primo lavoro inciso con Inez, che dimostra di essere uno strumentista sensibile e un autore capace, partecipando alla scrittura di quattro canzoni su sette, “Jar of flies” esce nel gennaio 1994 ed è il primo disco degli Alice In Chains ad arrivare al numero uno in classifica. Saranno tratti tre singoli di cui “No excuses” è quello di maggior successo. È il momento di raccogliere quanto seminato con un tour previsto nell’estate 1994 al fianco di Metallica, Suicidal Tendencies e Danzig, ma Staley riprende a farsi d’eroina, l’armonia fra i musicisti vissuta in sala d’incisione si rompe, la band cancella la partecipazione alla tournée e prende alcuni mesi di pausa. A oltre vent’anni dall’uscita, “Jar of flies” è considerato uno dei momenti più alti degli Alice In Chains. Con quattro milioni di copie vendute nel mondo, è anche il loro disco di maggior successo. Un mezzo prodigio per un EP nato quasi per caso, scritto e inciso nel giro di una sola settimana.