La Buona Novella
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1. Laudate Dominum 0:22
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2. L’Infanzia Di Maria 4:58
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3. Il Ritorno Di Giuseppe 4:03
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4. Il Sogno Di Maria 4:05
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5. Ave Maria 1:50
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6. Maria Nella Bottega D’Un Falegname 3:15
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7. Via Della Croce 4:30
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8. Tre Madri 2:55
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9. Il Testamento Di Tito 5:49
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10. Laudate Hominem 3:26
La buona novella è un album di De Andrè del 1970.
Nel 1969, mentre infuria la lotta studentesca e la società italiana è in subbuglio, Fabrizio De André scrive un concept album difficile, anti-commerciale, slegato dall’attualità. Si intitola “La buona novella”, è ispirato ai cosiddetti vangeli apocrifi, racconta la storia di Maria e della crocifissione di Gesù in modo inconsueto per la letteratura cattolica, ma pur sempre in maniera rigorosa e austera. De André viene accusato d’aver fatto un disco anacronistico, di aver preferito raccontare fatti di 2000 anni prima piuttosto che confrontarsi con la realtà. Anni dopo, il cantautore spiegherà che “La buona novella” voleva essere una allegoria delle istanze migliori della rivolta del ’68, che vengono paragonate alle idee di egualitarismo e fratellanza universale di Gesù di Nazareth, “il più grande rivoluzionario di tutti i tempi”.
Ecco quindi il breve canto “Laudate Dominum” che introduce la storia di Maria. Tenendosi lontano dalla letteratura canonica e prendendo spunto dai vangeli non riconosciuti dalla Chiesa, opera di scrittori arabi, armeni, bizantini, greci, De André racconta “L’infanzia di Maria” che viene reclusa nel tempio dai 3 a 12 anni. È una Madonna straordinariamente umana, che viene data in matrimonio, sposa bambina, a un riluttante Giuseppe. Nella parte narrata delle canzone, De André inserisce una citazione tratta dal Protovangelo di Giacomo, scritto da uno dei figli di Giuseppe e quindi fratellastro di Maria. Altrove attribuisce ai personaggi azioni e pensieri di fantasia. L’album continua con “Il ritorno di Giuseppe” in Giudea dopo quattro anni. Il concepimento virginale viene reimmaginato in forma onirica nella magnifica “Il sogno di Maria”.
La seconda parte del disco è dedicata al calvario di Cristo e si apre con la scena di “Maria nella bottega di un falegname”. La donna scopre che una delle croci che l’artigiano sta costruendo è destinata a suo figlio: le croci sono tre, “due per chi disertò per rubare, la più grande per chi guerra insegnò a disertare”. L’album culmina nel capolavoro “Il testamento di Tito”, il decalogo confutato dal ladrone buono crocefisso con Gesù. “I personaggi del Vangelo perdono un poco di sacralizzazione”, dirà De André, “a vantaggio, penso e spero, di una loro maggiore umanizzazione”. In chiusura, torna il canto corale. Questa volta si tratta di un più moderno “Laudate hominem” che contiene il verso chiave “Non voglio pensarti figlio di Dio, ma figlio dell’uomo, fratello anche mio”.
La “balbuzie melodica” di Fabrizio De André (definizione sua) è risolta da Gian Piero Reverberi che cura gli arrangiamenti, oltre a dirigere orchestra e coro. È sua l’idea di coinvolgere un gruppo milanese chiamato I Quelli, destinati a diventare Premiata Forneria Marconi e ad accompagnare De André una decina d’anni dopo in un tour di grande successo. Si tratta di Franco Mussida (chitarra), Giorgio Piazza (basso), Flavio Premoli (organo), Mauro Pagani (flauto), Franz Di Cioccio (batteria), più il chitarrista Andrea Sacchi. De André nota compiaciuto che “dopo due giorni di distaccata collaborazione hanno dimenticato gli spartiti sui leggii e sono venuti a chiedermi: perché hai fatto questo disco, perché hai scritto queste parole?”.
L’album è prodotto da Roberto Dané che, secondo il cantautore, “ha usato l’intelligenza per censurare e suggerire, l’affetto per stimolare e convincere e infine il forcipe, perché questo lavoro diventasse un lavoro finito, perché nascesse”. Nelle note di copertina il produttore scrive del diverso carattere della prima e della seconda parte dell’opera e nota che l’album “contiene l’identico carattere di anomalia delle favole: cominciano con momenti tristi e penosi, con angosce e fatiche, lo svolgimento rasenta il tragico, l’irreparabile, poi sfociano brutalmente (come quando arrivano i nostri) in un lieto fine liberatorio. E De André segue questo itinerario: alla favola sembra crederci (…) E poi distrugge con forza e decisione tutto ciò che ha costruito”.
Il disco esce con tre copertine diverse: quella originale, con una fotografia dell’artista, quella con la riproduzione di “Annunciazione tra i santi Ansano e Massima” di Simone Martini e Lippo Memmi (1333) e infine una più banale con titolo e autore in bianco e in nero su sfondo dorato. Pubblicato nel novembre 1970, l’album non ottiene un successo paragonabile a quello di altre opere del cantautore, una piccola delusione controbilancia dalle vendite di un 45 giri di quello stesso anno non tratto dall’ellepi, “Il pescatore”. Pur non essendo uno dei suoi dischi più popolari, Fabrizio De André ha ripreso cinque canzoni della “Buona novella” in una sorta di suite inserita in molte date della sua ultima tournée, si veda l’album dal vivo “Mi innamoravo di tutto – Il concerto 1998”.