Nebraska
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1. Nebraska 4:27
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2. Atlantic City 3:56
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3. Mansion On the Hill 4:03
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4. Johnny 99 3:38
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5. Highway Patrolman 5:39
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6. State Trooper 3:15
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7. Used Cars 3:06
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8. Open All Night 2:53
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9. My Father’s House 5:03
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10. Reason to Believe 4:11
Nel 1981 Bruce Springsteen è arrivato ad un livello di successo mai raggiunto prima. “The river”, ambizioso doppio album dell’anno precedente, lo ha portato ai piani alti delle classifiche: “Hungry heart” arriva al 5° posto, e verrà votato come singolo dell’anno da Rolling Stone. Il tour è durato due anni: nei palazzetti Springsteen ha suonato di fronte a 15-20.000 persone per sera, con date multiple in ogni città. Nel suo New Jersey addirittura 5, per 125.000 fan adoranti.
Il prossimo passo sono gli stadi, il primo posto in classifica, i milioni di copie. Tutto questo arriverà, ma dopo qualche anno ancora. Perché prima il Boss spiazza tutti con l’ultima cosa che ci si aspetta da da lui: un album scuro, totalmente acustico, inciso in casa.
Come già aveva fatto per “The river”, Springsteen si rinchiuse a scrivere canzoni, solo voce e chitarra, e un piccolo registratore portatile, un Teac che passerà alla storia. La parte oscura di Springsteen, quella che racconta le contraddizioni del sogno americano, prende il sopravvento, ancora in maniera più decisa di “Darkness on the edge of town” o delle canzoni più cupe di “The River”. Springsteen porta quei demo alla band, e le canzoni vengono incise in versione elettrica, ma qualcosa non quadra. D’accordo con il manager Jon Landau, decide di pubblicare le versioni originali: quelle storie funzionano meglio come disco folk e cupo, che come brani rock.
“Pensando al mio prossimo disco rock”, racconterà Springsteen nell’84, “Mi resi conto che perdevo sempre tempo nella scrittura. Arrivavo in studio con brani che non andavano bene e dopo un mese in studio dovevo tornare a scrivere. Così questa volta decisi di prendermi un piccolo registratore a quattro tracce, di inciderle per bene per poi semplicemente di insegnarle alla band. Pensai di cantare, suonare la chitarra e sulle due tracce rimanenti di fare qualcos’altro, come una seconda chitarra o delle armonie: erano solo dei demo, che mixai con un piccolo Echoplex. Poi quella cassetta, che mi ero tenuto in tasca e portato in giro per due settimane, diventò il disco. Non fu facile tecnicamente, portarla su vinile: era registrato in maniera così strana che la puntina finiva per distorcere tutto. C’è stato un momento in cui pensammo di pubblicarlo solo su cassetta”.
Una foto in bianco e nero, la scritta rosso sangue del titolo. La copertina dell’album rappresenta perfettamente lo spirito dell’album: crudo, duro.
Storie come quella di “Nebraska”, o “Johnny 99”: omicidi seriali, gente che non riesce scappare dal proprio destino di sangue: ”Io e lei siamo andati a fare un giro, signore, e dieci innocenti sono morti”. Il mondo di Johnny Cash, della malavita di “Atlantic City”, Antieroi che scappano dalla polizia e dagli “State trooper”, o che sono “Highway patrolman” ma hanno un fratello sulla cattiva strada e non sanno come gestirlo perché “Man that turn his back on his family, well he just ain’t no good”.
“Mi stupisce come alla fine di ogni sudato giorno la gente trovi ancora una ragione per credere”, canta Springsteen nella conclusiva “Reason to believe”: in queste parole c’è tutta l’atmosfera dell’album.
Il tono minimalista acustico ha qualche piccola eccezione: la chitarra elettrica di “State trooper”, quella di “Open all night”, l’uptempo di “Atlantic city”: queste ultime due verranno pubblicate come singolo, ma solo in Inghilterra, e “Atlantic city” avrà pure in videoclip, ma sempre in bianco e nero e senza la presenza di Springsteen: la neonata MTV lo ignorerà, inevitabilmente.
L’album arriverà lo stesso in classifica, al terzo posto in America e in Inghilterra, ma ovviamente venderà poco, e altrettanto ovviamente non sarà seguito da nessun tour. Guadagnerà a Springsteen ancora più credibilità, scoprendo decisamente le sue radici folk e fornendogli una piattaforma inattaccabile da cui partire con mosse di ben altro impatto comunicativo e commerciale.
I fan favoleggiano ancora oggi di quella versione inedita, quell’ “Electric Nebraska” inciso con la band, che non è mai trapelato nemmeno nella ricca bootlegrafia illegale e rimane uno dei sacri graal del Boss. Ma Springsteen prenderà alcune di quelle canzoni inedite, scritte in quel periodo e le reinciderà. Una, da blues acustico, diventerà un inno rock che stempera il tono scuro della storia di un reduce dalla guerra del Vietnam: “Born in the U.S.A.”. Per questa contraddizione sarà la canzone più fraintesa di Springsteen, ma il nuovo disco, frutto di una lunga e laboriosa serie di registrazioni, riprenderà il discorso interrotto da “The river”, riportando il Boss al Rock e portandolo a dominare le classifiche di tutto il mondo.