Powerage
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1. Rock ‘N’ Roll Damnation 3:35
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2. Down Payment Blues 6:00
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3. Gimme a Bullet 3:21
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4. Riff Raff 5:14
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5. Sin City 4:40
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6. What’s Next to the Moon 3:28
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7. Gone Shootin' 5:04
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8. Up to My Neck in You 4:10
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9. Kicked in the Teeth 4:03
Quando tra il febbraio e il marzo del 1978 gli AC/DC incidono “Powerage” negli Albert Studios di Sydney, la band ha da poco congedato il bassista Mark Evans e si avvale ora di un inglese, Cliff Williams, ingaggiato dai fratelli Young dopo un provino durato parecchie ore, provino al quale il musicista ha partecipato proprio nei giorni in cui stava meditando se appendere il suo basso al chiodo in modo definitivo.
Williams venne così catapultato, improvvisamente, in quell’universo a pochi accessibile, claustrofobico, regolato e rigidamente capeggiato da Angus e Malcolm Young, sempre assistiti dal fratello maggiore, quel George che per il gruppo ha sempre svolto e ricoperto ruoli importanti. Nel periodo in cui i Beatles conquistavano consensi planetari, nella lontana Australia furoreggiavano gli Easybeats, ancora oggi ricordati per un solo successo discretamente internazionale: ‘Friday on my mind’ del 1966. I due chitarristi erano Harry Vanda e George Young, che dopo aver percorso la parabola in deciso declino della band, si sarebbero riciclati come arrangiatori/produttori/autori riscuotendo anche un enorme successo nel 1978 con il brano da loro scritto e prodotto, ‘Love is in the air’, cantato da John Paul Young, stesso cognome ma nessuna parentela. Vanda e Young saranno anche ricordati per aver prodotto i primi cinque album in studio degli AC/DC e il live “ If you want blood” del 1978; George Young assisterà comunque i fratelli anche successivamente al suggerimento dell’etichetta Atlantic di sollevare lui e Vanda dal ruolo di enorme responsabilità che avevano fino ad allora ricoperto. “Powerage” non sarà però l’ultima incisione in studio della seguita dai due sodali. Mentre il bassista Cliff Williams cerca di risolvere degli inderogabili problemi con la burocrazia australiana che sempre malvolentieri rilascia permessi di lavoro, la band è già in studio con George Young momentaneamente al basso, mentre alla consolle Harry Vanda ed il fonico Mark Opitz si occupano dei suoni. La lavorazione di un album degli AC/DC è sempre ripetitiva nel suo svolgersi: Malcolm Young, anche se non apertamente esplicitato, è una sorta di direttore musicale ed assieme ad Angus compone la musica. Questa direzione è riconosciuta e rispettata; sia il nuovo bassista Cliff Williams che il batterista Phil Rudd rispondono direttamente a Malcolm e non solo durante le prove, ma anche quando iniziano le incisioni. Abitualmente il gruppo registra dalla sera fino alle prime luci dell’alba del giorno successivo. Il cantante Bon Scott è presente alle session pur rimanendo in disparte e non ha voce in discorsi che riguardano l’elaborato musicale, l’arrangiamento o comunque l’evolversi di un pezzo, sebbene sarà lui a scrivere i testi e naturalmente a prestare la voce una volta che le tracce sono state chiuse. I brani sono abitualmente firmati Malcolm Young, Angus Young e Bon Scott, molti collaboratori o musicisti che negli anni hanno incontrato la band ribadiscono che la mente, ed anche il motore ritmico e creativo degli AC/DC risiede nelle intuizioni di Malcolm, nelle sue pressanti, laceranti e metronometiche scansioni ritmiche. Visti in azione in filmati, video o più semplicemente dal vivo, la suddivisione delle responsabilità appare evidente, come evidente appare l’insostituibile apporto d’immagine offerto da Angus che, assieme al cantante, è l’artefice assoluto di tutto ciò che avviene sul palco: lui è l’attrazione, lui rappresenta la continuità, lui dà sicurezza, lui crea quella familiarità che determina l’enorme consenso che la band gode da più di trenta anni nelle performance live. Sul palco Malcolm è alla destra del batterista e come il ruolo richiede e pretende, è concentrato nel far avviare e muovere alla perfezione la macchina del ritmo. Durante l’intero spettacolo si agita costantemente in maniera ipnotica, come fosse tarantolato, ma senza mai di norma spostarsi di uno, massimo due passi dall’iniziale posizionamento. In quel febbraio/marzo del 1978 gli AC/DC si stanno apprestando ad incidere “Powerage” che, nella discografia della band, diverrà uno dei capitoli più discussi e controversi. Le fazioni in campo si schierano l’una a favore di un album che nulla concede alle regole ed esigenze del business, album dove tutto è musicalmente esternato senza mediazioni o calcoli. “Powerage” è pura anarchia e rappresenta il conciso manifesto del credo estetico dei fratelli Young, poi, con il trascorrere degli anni, gli è stata conferita la funzione oltremodo delicata e scomoda di album di riferimento. L’opposta fazione segnala che il tocco AC/DC su questo lavoro è perlomeno sommesso e indeciso, non ci sono brani trainanti o comunque brani successivamente scolpiti nella storia della band salvo forse ‘Rock ‘n’ roll damnation’ e ‘Riff Raff’. “Powerage” è anzitutto un lavoro in cui si saldano e congiungono alla perfezione il rigore formale, l’esattezza ritmica ed una emotività che non rimanda alla visione o interpretazione romantica della musica, bensì è esaltazione del lato prettamente corporale e primitivo, è risposta concreta, sensuale ad un coinvolgimento ritmico irriducibile, bruto ed immane. Il disco apre con ‘Rock ‘n’ roll damnation’, riff ipnotico portato, senza alcuna diversione, per 3 minuiti e 35 secondi che rischiano di provocare una inevitabile, ancestrale dipendenza. Quando i dirigenti dell’etichetta Atlantic, che rappresentava e distribuiva gli AC/DC negli States, chiesero agli Young di rimettere le mani sul brano per renderlo più radiofonico, vale a dire meno spigoloso, più levigato, riducendolo magari di una trentina di secondi, i fratelli si adoperarono per compiacere la richiesta, benché fossero non poco infastiditi. Questa cura permise al brano di avere una discreta visibilità nel Regno Unito, ma niente di più. ‘Down payment blues’ si articola ancora su un riff ciclico su cui si innestano un assolo perlomeno funambolico ed una figura decisamente blues a chiusura di questi 6 minuti e 6 secondi di orgia primordiale. ‘Gimme a bullet’ rientra nella tradizione AC/DC con chitarra ritmica in evidenza, fraseggi di Angus presi dal suo vasto repertorio e un lavoro di basso sorprendentemente elaborato. ‘Riff Raff’ è il pezzo chiave dell’album e rappresenta il vero nodo su cui si articola la disputa tra fan: ‘Riff Raff’ è il brano meno AC/DC dell’intero album e di molta della produzione della band. Brano di spessore inaudito, brano efficace, non si articola su un accompagnamento continuo di chitarra, sviluppa un assolo perlomeno insolito e pone obbiettivamente delle questioni identitarie. ‘Sin city’ anche si allontana dal cliché imposto dai due fratelli Young: è brano pacato con un break di voce, basso e batteria almeno inusuale, da segnalare che in ‘Sin city’, Angus fissa le regole mai dettate sulla maniera più elegante ed efficace per entrare in un assolo e naturalmente per uscirne. ‘What’s next to the moon’ e ‘Up to my neck in you’ si aggirano nei meandri degli standard AC/DC, mentre ‘Gone shootin’ ’ spiega come mai Gene Simmons dei Kiss, parlando con il tecnico del suono degli Young, si sia sbilanciato affermando che “Powerage” è il suo disco preferito. Con ‘Gone shootin’ ’ siamo al cospetto del rock in una delle sue manifestazioni più regali e significative ed è doveroso sottolineare che anche Eddie Van Halen e Keith Richards hanno eletto questo album come il loro preferito nella pur ampia discografia degli AC/DC. L’album chiude con una ‘Kicked in the teeth’, un piccolo debito pagato agli Zeppelin, brano decisamente hard rock caratterizzato dal canto di Bon Scott, in una delle sue tante ed abituali performance perfette, da una potente figura di basso e da un assolo che rimanda a Jimmy Page ed a quella sua particolare propensione a suonare esuberanti, quanto ingarbugliati, a volte confusi grappoli di note.