ROCK IN A HARD PLACE
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1. Jailbait 4:38
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2. Lightning Strikes 4:27
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3. Bitch’s Brew 4:14
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4. Bolivian Ragamuffin 3:32
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5. Cry Me A River 4:06
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6. Prelude To Joanie 1:21
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7. Joanie’s Butterfly 5:35
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8. Rock In A Hard Place (Cheshire Cat) 4:46
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9. Jig Is Up 3:10
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10. Push Comes To Shove 4:28
Ci sono degli album progettati, concepiti ed incisi in un frangente nel quale i musicisti artefici delle session stanno affrontando una fase personale talmente complessa, non agevole, caratterizzata da contingenze sgradevoli ed articolata su problematiche non necessariamente musicali, che provoca in loro una sorta di sospensione ed oscuramento inventivo e ideativo. Inevitabilmente le storie, le vicende che producono queste contingenze, condizionano poi non soltanto il risultato, l’opera finita, ma anche l’impatto mediatico del disco, le sue ambizioni e i propositi stessi di chi quella musica ha originato e dovrebbe difenderne l’autonomia, l’esito ultimo e non ha invece la forza, le motivazioni, la disponibilità per farlo. Nel 1979 gli Aerosmith rischiano di dissolversi, di scomparire: non è soltanto l’incontrollabile tossicodipendenza di Tyler il problema, né una serie di mancate occasioni da questa derivate, il gruppo avverte una sensazione di esaurimento ed il lavoro che si sta facendo per il nuovo album, che verrà pubblicato a novembre con il titolo “Night in the ruts”, stenta a concretizzarsi: in più, l’etichetta che li rappresenta, preme affinché la band si prepari ad affrontare un tour estivo. Le registrazioni vengono quindi sospese. Ogni storia è fatta di episodi e come dirà uno Steven Tyler decisamente perfido, gli Aerosmith rischiarono di sciogliersi per “un bicchiere di latte”. E’ però necessario procedere con ordine: durante una riunione amministrativa tra i musicisti ed il loro manager, viene comunicato al chitarrista Joe Perry che ha un debito di 80.000 dollari nei confronti della band, debito relativo alle spese individuali accumulate negli hotel in cui hanno soggiornato. Perry chiede al manager che tipo di rientro può suggerirgli e candidamente si sente rispondere che una soluzione sarebbe quella di incidere un disco come solista e restituire i denari alla band con l’anticipo che riceverebbe dall’etichetta interessata. A tour concluso, gli Aerosmith riprendono le session per “Night in the ruts” ed Joe Perry vi partecipa perchè non vuole lasciare il lavorò a metà. I rapporti interpersonali tra gli elementi della band cominciano però a deteriorarsi: Tyler ha da sempre esternato senza censure la sua decisa avversione verso la moglie di Perry e sarà proprio quest’ultima la protagonista dell’episodio del bicchiere di latte. Durante un incontro tra gli elementi della band, la moglie di Tom Hamilton, Terry, dice qualcosa che la signora Elyssa Jerret in Perry non tollera e quindi, come replica, le getta addosso un intero bicchiere di latte con signorile nonchalance, provocando una lite ed un violento scontro fisico con la signora Hamilton. Sommando l’istintiva antipatia di Tyler per Elyssa, sentimento da sempre esplicitamente quanto pubblicamente ricambiato ed i rapporti incrinati tra i musicisti, Joe Perry, a mezzo comunicato stampa, finì per annunciare la propria fuoriuscita dagli Aerosmith. Per terminare le session dell’album in cantiere verranno utilizzati vari chitarristi tra i quali Jimmy Crespo che sostituirà ufficialmente Perry fino al suo reintegro nel 1984.
Nella storia degli Aerosmith troviamo quindi un album, “Rock in a hard place”, distribuito nell’agosto del 1982 e che di “Night in the ruts” è il successore, dove per la prima e sola volta non appare Joe Perry.
Questa condizione di band rivista e rimaneggiata creerà un effetto insospettato: minerà infatti la credibilità del gruppo ed inevitabilmente il loro nuovo lavoro. “Rock in a hard place” a distanza di moltissimi anni necessita di una obiettiva riabilitazione e riconsiderazione perché contiene alcune canzoni che si inseriscono perfettamente nel repertorio dei brani costruiti dalla band. L’album apre con un rock devastante come ‘Jailbait’: siamo nel pieno di quell’orgasmo Aerosmith segnato dall’apporto della batteria di un inossidabile Joey Kramer che finirà per essere uno dei più strenui sostenitori dell’album pur riconoscendo che in effetti, del nucleo originale della band, erano rimasti lui, Tyler ed il bassista Tom Hamilton. L’altro chitarrista storico, Brad Whiford aveva infatti abbandonato durante le registrazioni per “Rock in a hard place” e lo si può ascoltare soltanto nel secondo pezzo del disco, ‘Lightning strikes’ che dell’album sarà il primo singolo estratto. Joe Perry e Brad Whitford avevano negli anni creato un vero e proprio sodalizio chitarristico, il loro interscambio era perfetto essenziale e soprattutto efficace. A detta di Perry la componente che più gli era mancava durante il periodo del The Joe Perry Project fu proprio l’intesa con il ex partner che infine lo affiancò anche se nel momento in cui il Project stava dissolvendosi e Perry pensava già ad un rientro negli Aerosmith. I due nuovi chitarristi: Jimmy Crespo e Rick Dufay, offrirono il loro apporto ad una band che necessariamente doveva replicare se stessa e ripercorrere, per quanto possibile, il lavoro svolto da Perry e Whitford. Certo cambiava l’intenzione, mancava quel perfetto timing che si era venuto a creare ed il feeling, che si sa, non è riproducibile, è materia impalpabile, volatile, è pura individualità ed astrazione: ebbene, malgrado tutto ciò, il sound Aerosmith non sembrava essere né stravolto, né travisato. E quindi in “Rock in a hard place” l’identità di Tyler e compagni appare, almeno a tratti, sorprendentemente inalterata. Ascoltando ‘Bolivian ragamuffin’ si viene trascinati quasi nel futuro, quel futuro che garantirà agli Aerosmith di far parte della high society di quelle rock band rispettate come tali non solo da critici incostanti, ma dal pubblico. Ci sono poi brani che possono considerarsi paradigmatici della produzione Aerosmith: ‘Jig is up’ è un pezzo rock sviluppato su un accattivante riff, mentre ‘Push comes to shove’ sposta completamente l’attenzione più verso un ambito da fumoso locale rhythm’n’blues nel quale si aggira un Tom Waits decisamente ancorato alla musica espressa nei suoi primissimi album. ‘Bitch’s brew’ avrà l’onore e l’onere di rappresentare “Rock in a hard place” nelle emittenti radiofoniche essendo stato proposto come secondo singolo estratto. Questa scelta non è mai stata convincente; affidare l’esito commerciale dell’album a brani come ‘Jailbait’ o l’esilarante travolgente ‘Bolivian ragamuffin’ avrebbe, forse, probabilmente, magari offerto maggiori occasioni di diffusione ad una musica che cominciava a doversi confrontare con i primi campioni di quello che diverrà il sound degli anni ’80, affidato a soluzioni sonore totalmente diverse da quelle frequentate allora dagli Aerosmith. Si può tranquillamente sostenere che nell’agosto del 1982, quando “Rock in a hard place” fu distribuito, l’attenzione dei critici, il loro tema guida, fosse essenzialmente orientato verso una valutazione del gruppo per la prima volta senza Joe Perry. Il pubblico aveva perduto la simbiosi Tyler/Perry e quindi, salomonicamente aspettava lo sprigionarsi, dai solchi del disco, di un sapore e colorito Aerosmith che non li deluse affatto.