Soldier of Love
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1. The Moon and the Sky (Helen Adu, Stuart Matthewman, Andrew Hale) 4:27
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2. Soldier of Love (Helen Adu, Stuart Matthewman, Andrew Hale, Paul Denman) 5:57
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3. Morning Bird (Helen Adu, Stuart Matthewman, Andrew Hale) 3:54
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4. Babyfather (Helen Adu, Stuart Matthewman, Andrew Nicholls, Juan Janes) 4:39
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5. Long Hard Road (Helen Adu, Andrew Nicholls, Juan Janes) 3:00
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6. Be That Easy (Helen Adu, Stuart Matthewman) 3:39
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7. Bring Me Home (Helen Adu, Stuart Matthewman, Andrew Hale) 4:06
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8. In Another Time (Helen Adu, Stuart Matthewman, Andrew Hale) 5:04
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9. Skin (Helen Adu, Stuart Matthewman, Andrew Hale, Paul S Denman) 4:14
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10. The Safest Place (Helen Adu, Andrew Hale) 2:43
Se tra “Love Deluxe” e “Lovers Rock” erano trascorsi otto anni, da quest’ultimo al nuovo “Soldier of Love” la band guidata da Sade Adu si prese una pausa lunga una decade. Riunito finalmente nel 2008, il gruppo si era chiuso in studio, al lavoro su nuove tracce. Il primo singolo, “Soldier of Love”, fu pubblicato al volgere del 2009, mentre l’album omonimo uscì un paio di mesi dopo.
Il tempo che passa e le mode musicali che cambiano scalfirebbero qualsiasi artista pronto a rimettersi in gioco dopo un lungo silenzio. Non Sade, personalità e nome unici nel vasto panorama internazionale. Lo stile è quello di sempre, un porto sicuro dove trovare con certezza – che sia la metà degli anni Ottanta o il nuovo Millennio – una classe, un finissimo pregio, senza pari.
Una chitarra languida introduce “The Moon and the Sky”, traccia d’apertura dell’album e terzo singolo da esso estratto. Arriva poi la voce di Sade Adu a conquistare la scena. Ci sono gli ingredienti fondamentali della sua poetica, rimpianto e malinconia, che tengono tutto l’album stretto in una presa struggente e delicatissima – inquietudini palpabili filtrate dalla solita intrigante compostezza inglese.
Il brano che dà il titolo all’album è forse l’unico in cui la band si diletta a misurarsi con la contemporaneità musicale. Lo fa con un beat che riflette con avvincente essenzialità il testo e la voce di Sade. Nella suo caratteristico rigore, “Soldier of Love” è una ballad moderna dai risvolti epici: sobriamente elettronica, suggerisce una tensione assoluta senza mai arrivare al suo pieno sfogo, evitando elegantemente facili esplosioni.
E’ il dono distintivo di Sade: cantare un dolore personalissimo senza concedergli il sopravvento, e senza mai rivelare nulla di davvero personale.
Anche “Morning Bird” si muove attraverso una danza magica di suggerimenti. Il piano emerge da un’impressione di archi, cullando l’afflizione della voce come in un’elegante scena ripresa in slow motion.
“Babyfather” , il secondo singolo, oltre a celebrare la paternità in quella che è l’unica parentesi fiduciosa dell’album, si lascia trasportare da una melodia ridente tingendosi di sfumature reggae. “Long Hard Road” affida invece le proprie confessioni ad un’intima atmosfera acustica.
Le successive “Be That Easy” e “Bring Me Home” suggellano una delicata intesa con il mondo del trip-hop: mentre la prima scorre ammaliante come fosse sospesa da terra, la seconda acquista ritmo attraverso esplorazioni arabeggianti e nel frattempo traccia immagini di toccante desolazione (“I’ve cried for the lives I’ve lost…I’ve been so close but far away from God”).
Con “In Another Time” Sade, cullata dal più seducente tappeto sonoro, è una madre pronta a mettere in guardia la figlia dai torti che il mondo inevitabilmente le riverserà addosso. Lo sconforto è delicatamente alleviato dal sax di Stuart Matthewman.
Il volto moderno di “Skin”, con il suo beat moderno, è uno dei più appassionanti dell’album. C’è ancora una volta una storia finita al centro del canto, con la protagonista finalmente pronta a liberarsi delle proprie ferite e rimettersi in gioco.
“Soldier of Love”, l’album vincitore di un Grammy per la sua ineguagliabile R&B performance, si conclude sulle note di “The Safest Place”. E’ un’attestazione d’amore incancellabile, di un rifugio esistenziale che nessuna delle quiete ma potenti tempeste cantate da Sade può davvero demolire. La canzone diventa così anche un paradigma del potere della musica stessa, delle canzoni firmate Sade che il tempo non priva di virtù profondissime e, in fondo, ancora oggi misteriose.