Texas Flood (Legacy Edition)
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1. Love Struck Baby (Stevie Ray Vaughan) 2:19
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2. Pride and Joy (Stevie Ray Vaughan) 3:39
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3. Texas Flood (L.C. Davis, J.W. Scott) 5:20
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4. Tell Me (Chester Burnett) 2:48
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5. Testify (O’Kelly Isley, Ronald Isley, Rudolph Isley) 3:21
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6. Rude Mood (Stevie Ray Vaughan) 4:39
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7. Mary Had a Little Lamb (B. Guy) 2:46
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8. Dirty Pool (Stevie Ray Vaughan, Doyle Bramhall) 5:00
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9. I’m Cryin' (Stevie Ray Vaughan) 3:41
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10. Lenny (Stevie Ray Vaughan) 4:57
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11. Tin Pan Alley (aka Roughest Place in Town) (R. Geddins) 7:37
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1. Testify (O’Kelly Isley, Ronald Isley, Rudolph Isley) 4:14
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2. So Excited (Stevie Ray Vaughan) 4:18
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3. Voodoo Child (Slight Return) (J. Hendrix) 7:45
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4. Pride And Joy (Stevie Ray Vaughan) 4:57
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5. Texas Flood (L.C. Davis, J.W. Scott) 10:01
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6. Love Struck Baby (Stevie Ray Vaughan) 3:09
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7. Mary Had A Little Lamb (B. Guy) 2:59
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8. Tin Pan Alley (aka Roughest Place In Town) (R. Geddins) 8:14
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9. Little Wing / Third Stone From The Sun 12:28
Pochi album hanno cambiato le sorti di un intero genere musicale. “Texas flood” l’ha fatto. Pubblicato nel giugno 1983, il disco di debutto di Stevie Ray Vaughan con i Double Trouble ha reso nuovamente cool il rock-blues, che in quel periodo è l’ultima delle passioni degli acquirenti di dischi. Tramontata l’epoca dei grandi strumentisti blues, i chitarristi che stanno facendo la storia in quegli anni suonano hard & heavy e i musicisti della vecchia guardia come Eric Clapton si stanno dedicando a musiche più prossime al pop. “Texas flood” cambia lo scenario. Il chitarrista riporta il blues in classifica, per un anno e mezzo. Il suo modo di suonare assieme viscerale e tecnico riaccende entusiasmi sopiti e nel giro di pochi mesi Vaughan diventa il bluesman bianco più chiacchierato al mondo. La formula del power trio basso-chitarra-batteria torna a fare sensazione.
Nell’estate del 1982 Vaughan è un chitarrista di lungo corso, ma è conosciuto solo nel circuito dei club texani a un ristretta cerchia di appassionati che sanno che è il fratello minore di Jimmie Vaughan e che si esibisce con i Double Trouble, ovvero il bassista Tommy Shannon e il batterista Chris Layton. Grazie a una raccomandazione del produttore Jerry Wexler, in luglio i tre suonano al Festival di Montreux dove sono notati da David Bowie, che chiede al chitarrista di suonare in “Let’s dance”, e da Jackson Browne, che offre al trio di incidere nel suo studio personale, in California. Lì in novembre, nel giro di tre giorni, Vaughan e i suoi mettono su nastro un demo. L’idea non è incidere un disco e difatti le registrazioni sono effettuate su un nastro precedentemente usato da Browne. Shannon ricorda che “ci mettemmo in un angolo, ci disponemmo in circolo guardandoci e ascoltandoci vicendevolmente e suonammo come avremmo fatto dal vivo”.
Il demo finisce nelle mani di John Hammond, il produttore e discografico che ha lanciato Bob Dylan e Bruce Springsteen, fra i tanti. Hammond fa da tramite con un discografico della Epic che offre un contratto. Nel giro di pochi mesi, la band viene adottata dalla comunità di discografici e musicisti e quando si esibisce a New York nel maggio 1983 in platea ci sono celebrità come Mick Jagger dei Rolling Stones e il tennista John McEnroe. Fa scalpore anche la scelta di Vaughan di non partecipare al tour di “Let’s dance”. La gente si chiede chi è mai questo chitarrista texano sconosciuto che si permette di dire di no a David Bowie.
Le dieci canzoni di “Texas flood”, dal titolo dello standard anni ’50 del bluesman Larry Davis, vengono rifinite sulla base del demo prodotto nello studio di Jackson Brown. Il risultato ha la spontaneità e la carica dell’esibizione live. Catturate con pochi microfoni, le esecuzioni evocano l’irruenza del rock-blues di fine anni ’60, riletta attraverso il talento interpretativo di un chitarrista anni ’80. Il suono della Stratocaster, passato attraverso un solo effetto, un Ibanez Tube Screamer, è preciso e viscerale. Oltre ad avere ascoltato tanto blues, Vaughan è anche un fan di Hendrix, che cita in vari passaggi tra cui la cover di “Testify” degli Isley Brothers: il giovane Jimi aveva suonato nella versione originale nel 1964. L’album è incorniciato da due dediche del chitarrista alla moglie del chitarrista Lenora Bailey: il singolo “Love struck baby” e “Lenny”, strumentale dai toni lirici e jazzy che ricorda “Angel” di Hendrix. Altri due pezzi, il singolo “Pride and joy” e “I’m cryin’”, raccontano invece di una fidanzata degli anni ’70, Lindi Bethel. Un altro strumentale, “Rude moon”, è uno shuffle veloce ispirato a Lightnin’ Hopkins che merita una nomination ai Grammy come Best Rock Instrumental Performance. La title track riceve una nomination come Best Traditional Blues Performance.
La pubblicazione del disco nell’estate del 1983 e le successive esibizioni dal vivo conquistano un fan dietro l’altro. Rolling Stone dà solo tre stelle all’album lamentando che “Stevie Ray non sa scrivere”. Effettivamente Vaughan non è un grande compositore e non ha una voce distintiva, ma il suo stile chitarristico è appariscente, muscolare, istrionico – esattamente l’opposto di quel che passano le radio in quel periodo e proprio per questo motivo suona fresco ed eccitante. I lettori di Guitar Player votano Vaughan chitarrista dell’anno, la Blues Foundation lo elegge migliore strumentista del 1984. Stevie Ray Vaughan e “Texas flood” finiranno per influenzare un’intera generazione di chitarristi, da Eric Johnson a Mike McCready dei Pearl Jam, che eseguirà l’assolo di “Even flow” cercando di copiarne lo stile. Quando McCready incide quella traccia, nella primavera del 1991, Vaughan non può sentirla: il chitarrista muore in un incidente in elicottero nell’agosto del 1990, a soli 35 anni.