The Ghost Of Tom Joad
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1. The Ghost of Tom Joad 4:21
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2. Straight Time 3:25
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3. Highway 29 3:39
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4. Youngstown 3:52
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5. Sinaloa Cowboys 3:51
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6. The Line 5:14
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7. Balboa Park 3:19
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8. Dry Lightning 3:30
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9. The New Timer 5:45
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10. Across The Border 5:24
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11. Galveston Bay 5:04
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12. My Best Was Never Good Enough 2:00
Tom Joad è il protagonista del romanzo di John Steinbeck “The grapes of wrath” del 1939, romanzo conosciuto nel nostro paese con il titolo “Furore”. Questo piccolo eroe della mitografia americana è divenuto l’emblema della povertà, della miseria, della caparbietà, della speranza, di quel sogno americano a volte difficile da individuare o da credere. Uscito di prigione Tom Joad torna dalla sua famiglia in una fattoria dell’Oklaoma, ma la grande depressione e le tempeste di polvere che distrussero le campagne per più di un decennio, rendendole aride e improduttive, avevano oramai fiaccato la resistenza dei contadini profondamente indebitati con le banche. La soluzione per Tom Joad è raccogliere la propria famiglia, caricarla su un camioncino, imboccare la Route 66 in direzione ovest, verso il sogno, verso la California. Steinbeck, vinse il premio Nobel per la letteratura nel 1962 anche grazie al successo immenso del suo libro, John Ford ne fece un film nel 1940 con Henry Fonda nella parte di Tom Joad e vinse l’Oscar per la regia nel 1941. Woody Guthrie scrisse la canzone ‘Tom Joad’ (Part. 1 & 2) per il suo album “Dust bowl ballads” (dust bowl erano dette le tempeste di polvere), dopo aver visto il film di Ford.
Nel 1995 Bruce Springsteen pubblicò un album dal titolo “The ghost of Tom Joad”, un ritorno al folk deciso, convinto, strenuamente voluto: dirà Springsteen che la sua era probabilmente una sorta di missione: “La conclusione è che la voce che avevo trovato negli anni novanta, la voce in cui mi riconoscevo e che sentivo più vitale, era la mia voce folk, non quella rock”.
Nel 2014 confesserà di aver letto il libro di Steinbeck solo dopo aver inciso il disco e che era stato ispirato dal film di John Ford. Le canzoni di “The ghost of Tom Joad” sono affidate essenzialmente ad un accompagnamento di chitarra acustica arpeggiata in piena tradizione folk, anche se dei delicati tappeti strumentali arricchiscono spesso gli arrangiamenti. Come esigono lo stile e la forma moderna e contemporanea del folk, la canzone d’apertura inizia con armonica e chitarra acustica ed una riuscitissima, quanto sentita melodia che avvolge e coinvolge grazie anche ad un canto ed una voce decisamente efficaci. Si parla di terra promessa (la California), di desolazione, di difficoltà, di clandestini, dei drammi sociali dell’America che il trascorrere degli anni non ha mai comunque risolto. Il brano è semplicemente straordinario, se ne segnala una versione live assieme a Tom Morello di 8 minuti e 40 secondi registrata nel tour del 2008 nella data di Anaheim disponibile in download ed una versione in studio apparsa su “High hopes” nel 2014, altri 7 minuti e 29 secondi sempre con Tom Morello alla chitarra e voce. L’abbinamento Morello Springsteen non deve sorprendere, il chitarrista dei Rage Against The Machine ha sempre espresso la sua ammirazione per la musica di Springsteen e i Rage nel loro album di cover “Renegades” del 2000, avevano inciso una devastante versione di ‘The ghost of Tom Joad’. Come già aveva fatto per “Nebraska” il Boss si concede una pausa, una sospensione dalla musica espressa assieme alla E Street band; ritorna ai temi che sempre gli sono stati cari, torna a cantare delle storie e le storie sono la base su cui si fonda l’intero lavoro di Springsteen. Queste sono storie che affrontano la mancanza di lavoro, la chiusura di fabbriche, sono storie di disperazione, storie a volte drammatiche quanto simboliche, come quella del soldato congedato, del poliziotto, dell’immigrazione e dell’amore cantata meravigliosamente in ‘The line’, oppure l’altra emblematica storia di due hobo che si incontrano in un viaggio clandestino in treno, uno è anziano, il suo vagabondaggio risale forse al periodo della grande depressione, l’altro è probabilmente più giovane, ha meno esperienza. Anche in questa ‘The new timer’ come in un altro classico cantato da Johnny Cash, Frank l’anziano hobo viene ucciso: “Lo hanno trovato morto fuori da Stockton, il cadavere steso sul fango, niente era stato rubato, niente di rotto, l’avevano ammazzato tanto per ammazzare” canta un ispiratissimo Springsteen. I temi sono questi o almeno attorno a queste realtà si sviluppano ed articolano, il ritorno al folk, ad una dimensione più intima e personale porterà successivamente ad un tour che non prevede più folle oceaniche, stadi ed arene, ma teatri o locali medio piccoli che permettono di raccogliere 2/3.000 persone. Per quasi due anni, con vari periodi di sosta Springsteen portò questo inedito spettacolo in giro per il mondo, da solo, accompagnato dalla fida chitarra acustica impegnato ad imbastire una serie di brani tratti non esclusivamente da “The ghost of Tom Joad”. L’acclamazione della critica sia per il tour che per l’album che, nel 1997 vinse il Grammy come il miglior album folk, non riuscirono però a spegnere la delusione, certo preventivata, quasi pre-vissuta, per un esito commerciale buono, ma certo non paragonabile a quello ottenuto da altri album. Mancò essenzialmente l’appoggio di una diffusione radiofonica oramai talmente omologata che rifiutò in modo decisamente generalizzato di tramettere tracce ricavate dall’album. Inoltre, la durezza, le asperità e gli stessi temi trattati dissuasero anche molti abituali frequentatori della saga springsteeniana dall’avvicinarsi l’album che, malgrado i vari riconoscimenti ottenuti, ebbe una sorte simile a quella di “Nebraska” del 1982 e di “Devils & Dust” del 2005. In questa atipica, mai dichiarata o riconosciuta trilogia, malgrado le tematiche affrontate siano dissimili, seppure associabili, è però facile distinguere l’espressione, il manifestarsi di quella inquietudine che sembra essere tipica di Springsteen e che in lui deve essere profondamente radicata, se non congenita. E’ appunto una inquietudine probabilmente connaturata che nel tempo, con l’esperienza e la conoscenza ha acquisito nuovi livelli di consapevolezza, è uno spleen che si è manifestato in tante altre incisioni ed in dischi non sospetti, ricchi magari di una apparente leggerezza, di musica ritmata, di episodi rock o rock’n’roll. Forse più di altri, questo “The ghost of Tom Joad” raccoglie una eredità che Springsteen non vuole sottovalutare o tacere: è l’eredità di quei musicisti cantori che già nell’ottocento, a prescindere dal colore della pelle, intrattenevano il pubblico declamando testi o a volte vere poesie che raccontavano il dolore della vita e di quell’insieme di problemi, tra loro interconnessi, che divengono argomento e spesso questione e preoccupazione del vivere o meglio, sopravvivere nel quotidiano.