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JANIS JOPLIN

Non ha ancora compiuto diciotto anni quando, dopo essersi diplomata alla Thomas Jefferson High School, Janis Joplin si iscrive al Lamar State College of Technology che frequenterà non assiduamente e con scarso profitto fino al 1962 distinguendosi essenzialmente per il suo atteggiamento sregolato da giovane beatnick.

 

Non ha ancora diciotto anni eppure il demone della musica alberga in lei saldamente annidato: il blues soprattutto l’ha totalmente ammaliata attraverso  le incisioni di Leadbelly, Bessie Smith, Ma Rainey. Potrebbe sostenere una antica leggenda che Janis attraverso Papa Legba, o l’Uomo Nero, o più semplicemente attraverso il Diavolo, possa aver trovato il modo di barattare la propria anima in cambio del senso del blues, di quel suo umore malinconico ed opprimente, stazionando magari in quel mitico crocicchio dove i musicisti si auspicano di poter incontrare Satana in una qualsiasi delle sue innumerevoli forme e stringere con lui l’innaturale patto. Per un breve periodo si esibisce saltuariamente in alcuni bar di Austin e di Houston, conduce una vita perlomeno insolita per una ragazza così giovane: è la tipica ‘ribelle’ e, nei primi anni ’60, con questo termine si indicano i ragazzi non allineati.

Port Arthur, la cittadina texana dove è nata, non offre di certo tentacolari seduzioni, sebbene venga spesso menzionata perché lì sono nati il pittore e grafico Robert Rauschenberg considerato precursore della Pop Art e fondatore del neo-dadaismo americano e Evelyn Keyes, l’attrice simbolo di molti polizieschi anni ’50 e ‘60 ancora ricordata per aver interpretato Susele O’Hara, sorella di Rossella, in “Via col vento”. Tra i compagni di scuola di Janis ci sono l’attore George William Bailey e Jimmy Johnson uno dei più apprezzati allenatori di football americano. Appena compiuti i venti anni Janis torna di nuovo in California; a San Francisco si accosta timidamente al mondo della musica, incontra Jorma Kaukonen, prima che il chitarrista entri a far parte dei Jefferson Airplane e nella abitazione che lui divide con la moglie, incidono alcuni brani perlopiù con caratteristiche blues. Questo soggiorno californiano è anche caratterizzato da un uso smodato di droghe ed alcool: la dipendenza incontrastabile indurrà Janis ad un rientro in famiglia a Port Arthur per tentare un percorso di disintossicazione. Oramai la musica, il canto, sono aspirazione e miraggio: nel 1966 è di nuovo a San Francisco per un provino con uno dei gruppi più noti della bay area, i Big Brother and the Holding Company.
Naturalmente ottiene il ruolo di cantante ed in brevissimo tempo il suo nome diviene sinonimo di performance in cui all’afflitto umore del blues si fonde l’accorata, vanesia voluttà del rock. In quel periodo la psichedelia nell’area di San Francisco, con un quartiere quasi destinato a rappresentarla e contenerla come Haight-Ashbury, determina moda, arte, editoria, grafica e musica ed è in questo cumulo di stimoli e sperimentazione che Janis Joplin si insedia come indiscussa regina. Per stessa ammissione dei componenti, i Big Brother and the Holding Company erano musicalmente carenti e limitati e l’arrivo della Joplin complicò l’equilibrio della band perché ora come front man c’era una ragazza di indubbio rango, che doveva essere sostenuta da musicisti di livello. Inizia un lavoro di studio massacrante per dare vita all’album di esordio della band; per Janis il lavoro in sala d’incisione è novità assoluta cui subito però si rapporta dettando soluzioni ed imponendo direzioni.

Il Festival Pop di Monterey del giugno 1967 la consacra tra gli interpreti più significativi espressi in quegli ultimi anni, la sua prestazione è superba, il suo look, la sua presenza sul palco determinano addirittura una sorta di modello, un modello hippie seguito e per anni rispettato.

 

Ad agosto viene pubblicato il primo omonimo album della band, “Big Brother and the Holding Company”, l’accoglienza è ottima. Sono trascorsi neanche due mesi da Monterey e il nome della Joplin si sta diffondendo capillarmente e non soltanto in un ambito underground, del gruppo che l’accompagna si scrive invece con freddo distacco, d’altronde i limiti sono manifesti. L’improvviso successo la rende più diffidente, ha difficoltà a fidarsi delle persone, ha una vita sentimentale caotica, una vita sessuale sfrenata indistintamente affidata a rapporti con uomini e donne, i problemi con la droga si moltiplicano, alla dipendenza da eroina ed alcool si aggiunge un ampio uso di sostanze chimiche, tra allucinogeni e naturalmente sedativi. Si susseguono i tentativi di riabilitazione e disintossicazione, eppure l’essere fondamentalmente sola ed isolata non le concedono la costanza e la disciplina indispensabili in questi suoi tentativi. Il 1968 e il 1969 sono anni caotici certamente anche confusi: tra aprile e giugno è di nuovo in studio con i suoi Brothers , stavolta l’atmosfera è migliore, i musicisti più concentrati e determinati, il nuovo produttore ha maggiore esperienza e soprattutto il gruppo ha firmato un contratto con la Columbia che monitora attentamente l’evoluzione, la crescita e l’andamento di quello che diverrà “Cheap Thrills”, album da milioni di copie vendute, album da primo posto in classifica. La copertina è stata affidata a Robert Crumb noto nell’ambiente della controcultura per aver ideato il fumetto alternativo “Fritz the cat”. Tutto nell’album converge verso l’anelato, meritato successo e la risposta del pubblico è consequenziale: il tour del 1968 è sold out in ogni sua data, l’album vende al di qua e al di là dell’oceano eppure la separazione di Janis dai Brothers è inevitabile; lei immagina un altro sound e cerca musicisti diversi con cui poterlo realizzare. Il 1969 inizia con le prime neanche velate critiche al nuovo gruppo che, pur non avendo un nome, sarà conosciuto come Kozmic Blues Band dal titolo del primo album solista di Janis Joplin, “I got dem ol’ Kozmic blues again Mama!” pubblicato in settembre subito dopo una apparizione al Festival di Woodstock da molti suoi colleghi descritta come sottotono, conseguenza probabile del mai interrotto, quanto smodato, uso di droghe ed alcool. L’album ha un sound decisamente soul e rhythm’n’blues, la prestazione vocale è superba e malgrado le critiche di altolocati giornalisti ed un successo inferiore rispetto all’album precedente, “I got dem ol’ Kozmic blues again Mama!” suona ancora meravigliosamente.

Il 1970 apre con la Joplin impegnata con una nuova band da lei battezzata Full Tilt Boogie: l’incertezza e l’instabilità ormai dominano la sua carriera e lei è sempre più dominata dall’eroina e dall’alcool. Compie una fuga in Brasile per staccare con il music businnes, con la musica e con tutto ciò da cui dipende, ma al ritorno nulla è cambiato. A settembre è in studio per le incisioni di quello che diverrà “Pearl”;  Pearl è il nomignolo che Janis ha da poco scelto per sé e sarà il produttore Paul Rothchild a titolare il disco postumo proprio con quel soprannome che lei tanto amava. L’album è molto curato, la band la più aderente alle sue necessità, il progetto il più articolato e la produzione di Rothchild, che aveva assistito in sala i Doors, la più consona. Il progetto “Pearl” ed il percorso musicale di Janis Joplin, si concludono il 3 ottobre: quel giorno lei è in studio per ascoltare la base per il brano ‘Buried alive in the blues’, è soddisfatta del lavoro della band e decide di incidere la traccia vocale il giorno successivo. Purtroppo quel giorno successivo, il suo corpo senza vita verrà trovato dal road manager John Cooke che Paul Rothchild aveva mandato al motel dove la Joplin alloggiava per sollecitarla ad andare in studio e registrare la voce per ‘Buried alive in the blues’, ‘sepolta viva nel blues’, che rimarrà brano strumentale nell’ultimo album di Janis Joplin e sintetizza forse nel titolo la sua parabola e prigione musicale.

ALCUNI ALBUM…

  • CHEAP THRILLS (1968)

E’ l’album della consacrazione, l’album della conferma e del superamento di un disco d’esordio le cui sonorità, parzialmente invischiate con la musica psichedelica ed il beat californiano, non avevano trovato il pieno apprezzamento della cantante. Una Joplin ancora inesperta, ma decisamente determinata arriva però a questo secondo appuntamento con la sala d’incisione con una grinta che le permetterà di intessere brani come l’elegante ‘Summertime’, la devastante ‘Piece of my heart’ e l’indiscusso successo ‘Ball and chain’.

  • I GOT DEM OL’ KOZMIC BLUES AGAIN MAMA! (1969)

Nel pur breve percorso discografico della Joplin, questo album trascurato, criticato e decisamente sottovalutato, contiene una musica di origine e radici blues, che sebbene sia espressa attraverso forme derivate come il rhythm’n’blues e il soul, rappresenta il meglio di quanto lasciatoci dalla cantante texana. Per ottenere questo risultato la Joplin aveva abbandonato i Big & the Holding Company Brothers e dato vita ad una band in grado di seguirla nella sua visione ed interpretazione del blues. Se si esclude ‘Try (Just a little bit harder)’ il disco non conteneva pezzi da classifica e forse questo era il suo limite, limite commerciale non certo musicale.

  • PEARL (postumo 1971)

Le session per quello che sarebbe dovuto essere il suo quarto album, il secondo a suo nome, iniziarono a settembre del 1970 con il patrocinio di un nuovo produttore, Paul Rothfield, che entrò subito in sintonia con la Joplin, tanto da ultimare il lavoro in un mese. Sebbene postumo, l’album era stato ultimato prima della scomparsa della cantante. “Pearl” è considerato il testamento ed il capolavoro di Janis Joplin e sebbene segua il percorso aperto “I got dem ol’ Kozmic blues again Mama!”, è meno orientato vero un sound Stax o Motown e soprattutto contiene brani che hanno superato l’oblio dovuto al trascorrere del tempo, compreso ‘Mercedes Benz’ poco più di 1 minuto e 40 secondi di gospel/blues a cappella.

 

ALCUNI BRANI

  • SUMMERTIME

L’originale scritto da George Gershwin per l’opera “Porgy and Bess” era divenuto in breve tempo uno standard ed era stato interpretato da vari cantanti tra cui Billie Hollyday che ne fece un personale successo. Per apprezzare ed entrare nell’universo di Janis Joplin è necessario immergersi nella sua versione del brano di Gershwin e notare come la cantante sia riuscita a virare una canzone pop, di notevole grazia e fattura, in un lamento blues efficace e memorabile.

  • PIECE OF MY HEART

L’abilità innata di Janis Joplin di intuire i possibili sviluppi di un brano ed i necessari interventi per conferirgli una adeguata veste, sono alcuni degli elementi che l’hanno imposta come interprete sofisticata e innovativa. Ancora oggi ‘Piece of my heart’ viene spesso eseguita rispettando l’interpretazione stabilita dalla Joplin che stravolgeva l’originale cantato da Erma Franklin, sorella di Aretha. Si vocifera che Erma non abbia riconosciuto la sua canzone quando la ascoltò cantata dalla Joplin.

  • ME AND BOBBY McGEE

Scritto da Kris Kristofferson, ma totalmente rivisitato con spostamenti di accenti e abbellimenti melodici, questo brano potrebbe essere una sorta di dedica della Joplin all’autore con cui aveva avuto una breve frequentazione, confermata da Leonard Cohen che la conobbe sull’ascensore del Chelsea Hotel di New York mentre stava cercando la camera di Kristofferson. Da quell’incontro e da un casuale rapporto, derivò poi una delle canzoni più intense del cantautore canadese, ‘Chelsea Hotel’, dichiaratamente consacrata alla cantante. ‘Me and Bobby McGee’ è il più grande successo commerciale ottenuto di un 45 giri della Joplin; per la side B era stato scelto ‘Half moon’.

  • CRY BABY

Anche esaltare semplicemente il lavoro di altri interpreti rientrava nelle capacità ineguagliabili della Joplin: per l’album “Pearl” rispolverò questo brano inciso da Garnett Mimms & The Enchanters nel 1963 uniformandosi alla parte iniziale e galvanizzando con la sua performance vocale l’intera strofa. ‘Cry Baby’ è stato uno dei singoli estratti dall’album e forse la scelta coraggiosa di inserire come B side ‘Mercedes-Benz’, ne ha decretato il successo. Anche quando la lettura del brano era più conforme all’originale, la Joplin riusciva comunque ad esaltarne la tessitura e la scrittura.

 

  • TRY (JUST A LITTLE BIT HARDER)

E’ la canzone più nota tratta da un album ingiustamente strapazzato dalla critica e uno dei brani memorabili della Joplin. La band che la accompagnava era la prima selezionata dalla Joplin stessa che si era avvalsa, per l’occasione, di Mike Bloomfield come consigliere e personale consulente. Questo brano, come d’altronde altri interpretati dalla cantante texana, vedi ‘Cry Baby’, ‘Piece of my heart’, ‘My Baby’ e ‘Get it while you can’, era anche firmato da Jerry Ragovoy autore o co-autore di diversi successi Soul e R&B degli anni ’60, evidentemente con la scrittura e sensibilità di Ragovoy la Joplin aveva una particolare sintonia.

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