Riscoprire Elvis Presley
“La morte di Elvis Presley priva il nostro Paese di una parte di sé. La sua musica e la sua personalità, fondendo gli stili della parte bianca della nazione ed il rhythm and blues nero, cambiarono definitivamente il volto della cultura popolare americana”.
Con queste parole il Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter commemorava il cantante il giorno successivo alla sua scomparsa, avvenuta, nella suntuosa dimora di Graceland il 16 agosto del 1977, all’età di 42 anni. Le parole del Presidente Carter sorprendono non solo per quella sorta di precisa e dotta analisi musicale che descrive il linguaggio del rock&roll come fusione tra la tradizione bianca del country ed elementi presi dal blues e dal rhythm and blues, ma altresì stupisce la considerazione finale, quando riconosce come Presley cambiò il volto della cultura americana, quasi a voler finalmente legittimare la figura del cantante. Non va dimenticato infatti che per anni Elvis Presley fu bersagliato da critiche anche grevi e malevoli, provenienti da ambienti conservatori, che lo dipingevano come sciagura sociale, come il demone che avrebbe trascinato la gioventù americana verso una ingovernabile trasgressione, verso una indomabile e incurabile dissolutezza.
Spaventavano al tempo, siamo nel 1956, la proposta musicale innovativa, basata sul ritmo, sulla volontà di provocare e spaventava altresì un approccio alla musica che ne esplicitava ed evidenziava la componente sensuale. La postura di Elvis durante le sue performance, i suoi movimenti, la gestualità, e su tutte lo scuotere il bacino, erano considerate come vere e proprie offese alla pubblica moralità. L’indomabile ciuffo, i capelli lunghi, una sessualità voluttuosa non certo inespressa ed un abbigliamento originale erano poi considerate come ulteriori provocazioni. Dalla sua Presley aveva un pubblico di giovanissime ragazze urlanti ed inneggianti e dei giovani ragazzi che volevano semplicemente emularlo. Dalla sua Elvis aveva un successo talmente sbalorditivo che divenne incentivo e modello per una industria discografica intenta sin dal dopoguerra nell’individuare un filone d’oro da poter sfruttare. In un periodo in cui non c’erano ancora consulenti per l’immagine, manager competenti e smaliziati, produttori accorti ed astuti, uffici stampa aggressivi e spregiudicati, Elvis definì la propria proposta guidato esclusivamente da quell’istinto che lo aveva portato sin da adolescente a frequentare musicisti di colore ed assimilare da loro quella lezione blues che abilmente fuse con il country, il country western. La suo disegno musicale andava così ad arricchire una sorta di percorso che partendo dal boogie boogie, passando per lo swing, il jump blues e altri stili simili, stava approdando alla forma ed al sound rock&roll. La storia racconta che Bill Haley nel 1954 si era fatto notare per il brano ‘Rock around the clock’ eppure, soltanto l’anno successivo, quando il regista Richard Brooks inserì il pezzo nel film ‘Il seme della violenza’, questa canzone esplose sul mercato statunitense ed in brevissimo tempo in Europa: fu allora che si iniziò a parlare di rock&roll. Il rock&roll non era soltanto musica, era apparenza, illusione, irrequietezza, moda, sensualità, era l’espressione dei giovani per i giovani. Bill Haley non solo aveva già compiuto trent’anni, ma soprattutto aveva un aspetto fisico che non consentiva di riconoscerlo nella musica che eseguiva. Elvis era invece perfetto: aveva il phisique du rôle, dieci anni meno di Haley, molti chili di meno, era snello e flessuoso, ‘snodato’ e musicalmente preparato quanto esigente. Si investì molto su Presley ed i risultati commerciali furono immediati: con il suo primo album l’industria del disco superò per la prima volta nella sua storia, il milione di copie vendute. Stabilito ed identificato un prototipo efficiente, si iniziò a replicare più o meno decorosamente l’originale e la storia del rock&roll ebbe così inizio. La RCA rilevò il contratto che legava Presley ad una piccola etichetta e tra il 1956 ed il 1958 l’ascesa del cantante fu straordinaria: ‘Heartbreak Hotel’, ‘Jailhouse Rock’, ‘Love me tender’, ‘Don’t be cruel’, ‘Hound Dog’, ‘All Shook up’, ‘Blue Suede Shoes’ sono solo alcuni dei successi che portarono il nome di Presley ovunque nel mondo come indiscusso fenomeno musicale e mediatico. Nel 1958, dopo aver intrapreso anche una proficua attività come attore di commedie perlopiù musicali, il cantante non tenta nemmeno di sottrarsi agli obblighi di leva e benché fosse di stanza in Germania, la sua ferma fu seguita quasi quotidianamente dai media. Il ritorno in patria fu celebrato da apparizioni televisive, interviste e da un rientro in sala di incisione e sui set di Hollywood. Qualcosa era però cambiato e da allora, fino ancora ad oggi, si è tentato di esplorare le motivazioni della trasformazione di Presley avvenuta in quei due anni di leva vissuti oltretutto con grande coscienziosità ed ottemperanza, malgrado avessero inizialmente coinciso con il dolore per l’improvvisa perdita della madre, perdita che per molti esegeti del cantante è forse alla base dell’avvenuto mutamento. Presley diventa sempre più arrendevole nei riguardi del suo manager, quell’enigmatico Colonello Parker, che non ha mai mostrato un interesse verso la qualità della musica espressa dal cantante o per il profilo dei film che interpreta. Anzi ora è lui a manovrarlo e indirizzarlo sempre più spesso verso situazioni economicamente vantaggiose che progressivamente denaturano la proposta del cantante, assediato in quei primi anni ‘60, da un radicale mutamento della scena musicale impresso dai Beatles. Presley avrebbe forse voluto misurarsi con questa nuova realtà, ma il Colonello Parker ne avversò o boicottò ogni opportunità; oramai disponeva, organizzava e disciplinava qualsiasi attività del cantante senza incontrare mai resistenze, obiezioni o controproposte. Ancora negli anni ’60, le performance di Presley e la musica prodotta sono di ottimo livello anche se sempre più avulse dal mercato, i film realizzati lo mantengono all’attenzione dei media, eppure quella scintilla che lo aveva portato ad essere il Re del Rock&Roll sembra perduta e lentamente, quanto inevitabilmente, diviene una icona da sacrificare sull’altare del pop. Probabilmente lo avverte, ma non si oppone. Il percorso verso la nevrastenia sembra oramai segnato: la depressione, l’abuso di farmaci, l’isolamento, paranoie e psicosi, segneranno i suoi anni ’70. Le ultime incisioni di Presley, prodotte nello studio all’interno della sua proprietà: ‘Way Down in the Jungle Room’, tracciano in due imperdibili CD, il profilo di un uomo musicalmente ancora entusiasta e vitale, la celebrità è un peso ed il Re ha ormai abdicato. Malgrado un appesantimento progressivo e incontrastato, disturbi alla vista e uno stato confusionale dovuto ai medicinali che assume, Presley non rinuncia al palcoscenico, alle migliaia di irriducibili fan inneggianti, pur essendo oramai distante da loro. Nelle ore successive alla sua morte più di ottantamila persone arriveranno a Memphis, nella tenuta di Graceland, per dargli un ultimo saluto, un ultimo simbolico abbraccio.
ALCUNI ALBUM…
ELVIS PRESLEY (1956)
E’ uno degli album più citati e quotati dai critici quando si affronta l’immensa discografia tentando di sistematizzarla. Questo disco di esordio contiene appieno le caratteristiche del primo Elvis: incontriamo classici come ‘Blue suede shoes’ e ‘Tutti frutti’, due brani di successo che nell’elaborazione del cantante e del suo gruppo acquisiscono nuova, definitiva vitalità. ‘Blue moon’ e ‘I got a woman’ di Ray Charles sono altre imperdibili perle.
FROM ELVIS IN MEMPHIS (1969)
Non è soltanto l’album della maturità, è l’album di un musicista determinato, consapevole di doversi scontrare con un cambio generazionale e con le diverse esigenze di un target ormai molto parcellizzato e sempre più preparato ed esigente. Elvis non può riconoscersi più nelle vesti del Re del rock&roll; diviene quindi l’interprete di una musica che fonde stupendamente, il R&B, il country, il pop, passando attraverso modulazioni gospel e naturalmente l’inevitabile matrice rock&roll.
THE ESSENTIAL ELVIS PRESLEY (Antologia)
La produzione di Elvis Presley è talmente vasta e poliedrica che segnalare una raccolta è perlomeno indispensabile. “The essential Elvis Presley” condensa in due CD una sintesi più che significativa della produzione del cantante, dai primi successi rock&roll, quasi mai inseriti su LP, alle interpretazioni anni ’60, fino al periodo in cui iniziò a rivisitare e riqualificare, con grande efficienza ed esuberanza, il suo glorioso passato.
ALCUNI BRANI…
DON’T BE CRUEL (1956)
Il 13 luglio del 1956 viene pubblicato un 45 giri che contiene ‘Don’t be cruel’ nella side A e ‘Hound dog’ nel retro. Alcune riviste di settore valutarono in quattro milioni le copie vendute dal disco nel solo anno dell’uscita. In soli 4 minuti e 20 secondi i due brani condensavano l’idea stessa di rock&roll. ‘Don’t be cruel’ fu eseguita da Presley nella quasi totalità dei suoi innumerevoli concerti, fino all’anno della sua morte, il 1977.
HOUND DOG (1956)
Anche se pubblicato come B side, ‘Hound dog’ ebbe inizialmente una programmazione radiofonica superiore a quella ‘Don’t be cruel’ e questo fu probabilmente dovuto alle sue energiche e risolute caratteristiche rock&roll, e sfumature R&B, che ne hanno fatto nel tempo un modello per chiunque avesse voluto confrontarsi con questa musica. Elvis era talmente consapevole della qualità del pezzo che aveva iniziato ad eseguirlo in concerto ancor prima di inciderlo.
JAILHOUSE ROCK (1957)
Poco prima della distribuzione nelle sale cinematografiche del film “Jailhouse rock”, la RCA pubblicò uno dei singoli più emblematici della storia del rock e dell’intera produzione di Elvis Presley. La sequenza oramai storica del cantante che interpreta ‘Jailhouse rock’, assieme ad un gruppo di ballerini e la coreografia autenticamente rock&roll sono la perfetta sintesi che permette di accedere alla tensione anche eversiva che quella musica trasmetteva.
CAN’T HELP FALLING IN LOVE (1961)
Tratto dalla colonna sonora del film “Blue Hawaii”, la canzone è una rivisitazione più che riuscita di una romanza scritta da Jean Paul Martin a fine ‘700 e nota come ‘Plaisir d’amour’. La resa interpretativa di Presley, nell’affrontare questa suggestiva melodia soggetta a minime variazioni, è indescrivibile e la resa straordinaria. Indimenticato e indimenticabile capolavoro.
VIVA LAS VEGAS (1964)
Quando venne pubblicata non ebbe il consueto riscontro nelle classifiche, eppure oggi ‘Viva Las Vegas’ è considerata come uno dei classici del cantante. Nel 1964 Presley doveva ormai rapportarsi alla mutazione del sound dettata dai Beatles e dalla british invasion. ‘Viva Las Vegas’ possiede quindi sonorità inedite se rapportate alle precedenti incisioni del cantante. Bruce Springsteen abitualmente la propone nei suoi concerti, ZZTop, Stray Cats, Dead Kennedys e Blues Brothers l’hanno riproposta in cover decisamente riuscite.