Riscoprire Leonard Cohen
Leonard Cohen non è certo un esponente della musica pop, eppure alcune sue canzoni hanno avuto una diffusione ampia e decisamente capillare, naturalmente non lo si può in nessuna maniera accostare al rock, sebbene personaggi irregolari come Kurt Cobain o Nick Cave abbiano spesso messo in rilievo la centralità del cantante in un ambito di competenza più contenutistica che sonora.
Leonard Cohen non ha mai contemplato forme musicali che non facessero riferimento alla pur vasta e variegata consuetudine della canzone d’autore, con una decisa propensione per quella espressa in Europa e soprattutto in Francia, negli anni del secondo dopoguerra, attraverso personaggi quali Georges Brassens, Léo Ferré, Juliette Gréco o il belga Jacques Brel.
Nell’ambito della musica cantautoriale Cohen non ha quindi attinto alla fertile tradizione americana, ha preferito invece riconsiderare il ruolo e riaffermare le pertinenze di un musicista-autore maggiormente interessato al proprio mondo interiore o comunque alle proprie esperienze più intime e personali.
In Leonard Cohen il ruolo del poeta e quello dello chansonnier convivono perfettamente: negli anni 50 debutta con libri di poesia riusciti e positivamente recensiti anche da valenti critici.
Nel 1963 e nel 1966 approda alla narrativa con due romanzi pensati durante una sorta di eremitaggio sull’isola greca di Idra. L’avvicinamento alla musica avviene nella seconda metà dei ’60: una delle sue canzoni più celebri, ‘Suzanne’ è l’”adattamento” di una poesia pubblicata nel 1966 nel libro ‘Parasites of Heaven’. Questo continuo interscambio tra produzione letteraria e composizione musicale continuerà negli anni contribuendo alla definizione e determinazione di un ruolo unico all’interno della scena musicale internazionale che Cohen frequenta e condivide assieme a personaggi di primaria grandezza nel mondo del rock e del pop, pur mantenendo sempre inalterata la propria vocazione di cantautore. L’insospettato accesso alla popolarità e la gestione di una improvvisa notorietà non lo intimoriscono affatto: lo si può incontrare nel 1970 al Festival dell’Isola di Wight assieme a Jimi Hendrix, agli Who e Miles Davis oppure al Montreux Jazz Festival, nel 2013, in un ambiente solo apparentemente lontano che invece apprezza l’apporto offerto da Cohen alla musica. La parabola creativa del cantante-autore canadese, dopo l’iniziale accostamento a sonorità acustiche, si è sviluppata su intelligenti immersioni in atmosfere elaborate grazie anche a strumentazioni più ampie, con aperture persino ad un sound vagamente elettronico. Si inizierà allora a parlare della sua proposta in termini di folk rock che non riassume però adeguatamente il lavoro che Cohen ha intrapreso: la sua identità è invariata, i temi personali hanno sempre maggiore evidenza nella sua produzione lirica sebbene la religione, intesa come spiritualità, il tema della libertà o la politica vissuta con un distacco intellettuale, siano trattati ed affrontati attraverso una articolazione e un approccio decisamente privato, individuale, quasi riservato. Anche se un poeta cantautore non può essere raccontato attraverso dei freddi numeri, la produzione di Cohen ed il peso da questa avuto nell’universo musicale dai 60’ in poi, non ne può prescindere: l’artista canadese ha inciso 14 album in studio, l’ultimo, “You Want it Darker, pubblicato il 21 settembre del 2016 giorno del suo ottantaduesimo compleanno. Al suo attivo ha poi 8 dischi live decisivi per meglio capire l’evoluzione e l’adeguarsi del suo sound al ciclico mutare del gusto. Innumerevoli sono le antologie, spesso assemblate nel rispetto delle esigenze del mercato di vari paesi. Leonard Cohen ha pubblicato una quindicina di volumi di poesia all’interno dei quali si possono incontrare dei libri in cui l’attività di poeta si accosta a quella di autore di canzoni: poesie e canzoni convivono splendidamente. Ha poi scritto due romanzi e ricevuto innumerevoli attestati per il ruolo di scrittore e per quello di autore di canzoni, la sua musica ha fatto da sottofondo ad una serie di importanti film e telefilm. Il brano ‘Nevermind’, sigla iniziale della seconda stagione dell’acclamata serie TV “True Detective”, descrive e racconta una volta di più l’universo creativo di Cohen e le sue fasi: come poesia apparve sul sito del cantante nel 2005, fu rielaborata per la pubblicazione nel libro “Book of Longing” e la ritroviamo, debitamente musicata, nell’album “Popular Problems” del 2014. In realtà la scrittura di questa poesia, poi divenuta canzone, inizia, molti anni prima, nel monastero zen di Mont Baldy, in California, dove Cohen ha vissuto tra il 1994 ed il 1999. Non tutte le sue canzoni hanno subito una così lunga gestazione o un processo di interscambio tra sfera letteraria e musicale; comunque, “Nevermind”, il suo sound, la sua diffusa malinconia o malumore svelano in parte, anche se solo in parte, quell’insidioso quanto affascinante pianeta chiamato Leonard Cohen.
ALBUM
SONGS FROM A ROOM (1969)
I primi tre album di Leonard Cohen hanno un titolo simile che invita a pensare ad una trilogia; d’altronde sia tematiche che sound sono abbastanza simili. “Songs from a Room” anticipa il riuscito “Songs of Love and Hate” del 1971 e segue l’album di esordio, l’allora tanto criticato “ Songs of Leonard Cohen” del 1967, ritenuto oggi uno dei suoi migliori lavori. “Songs from a Room” contiene alcune delle storiche canzoni di Cohen: il capolavoro ‘Bird on the Wire’, la spesso citata e molto reinterpretata ‘Seem so long ago, Nancy’, ripresa anche da Fabrizio de Andrè e ‘The Partisan’, splendido brano che appartiene alla storia della resistenza francese.
NEW SKIN FOR THE OLD CEREMONY (1972)
Sono trascorsi cinque anni dall’esordio di Leonard Cohen nelle vesti di cantautore e questo lavoro segna il primo deciso cambiamento nella sua produzione. Anzitutto il sound si arricchisce di nuovi strumenti e ne consegue un arrangiamento più articolato. L’ispirazione però non cambia ed i temi sono generalmente da riferire ad esperienze ed avventure personali. Anche in questo caso la critica accolse il disco con discordanti valutazioni per poi esaltarne, dopo anni, sia la densità, che il riuscito cambiamento di rotta. ‘Chelsea Hotel #2’ e ‘Lover Lover Lover’ le due gemme indiscusse.
VARIOUS POSITION (1984)
Prodotto ed arrangiato ancora da John Lissauer, che aveva gestito con lucidità e delicatezza l’adattarsi di Cohen ad una musica più ricca di suoni, questo lavoro del 1984 conferma il percorso intrapreso dal cantante apportando nuovi innesti come il sound di tastiere e di strumenti che a volte portano il sapore dei brani verso atmosfere vagamente country. Il livello delle composizioni è sempre altissimo e la presenza di un brano come ‘Hallelujah’ nobilita di per sé l’intera incisione, anche se non sono trascurabili pezzi come: ‘Dance Me to the End of Love’, ‘The Captain’ o l’irresistibile ‘Coming back to you’ che ripropone l’intensità del primo Cohen rivestita ora da una musica più adeguata al periodo in cui si manifesta.
CANZONI
SUZANNE (1967)
Cohen ha sempre cantato le donne; coinvolte sentimentalmente con lui, oppure no, poco importa, comunque Suzanne sembra essere stata soltanto una amica. La canzone si sviluppa sul testo di una poesia pubblicata l’anno precedente nel volume “Parasites of Heaven”. Indubbiamente una delle canzoni più note di Cohen, e soprattutto un brano impossibile da dimenticare. Dal primo album: “Song of Leonard Cohen”.
BIRD ON THE WIRE (1969)
Una delle canzoni cui Cohen è più attaccato, tanto da usarla molto spesso come apertura nei suoi concerti. ‘Bird on the Wire’ è la canzone perfetta che accompagna una intera carriera artistica, mutando con il suo demiurgo e non perdendo mai potenza e vigore. Scritta sull’isola di Idra, fu successivamente elaborata in un hotel di Hollywood e durante un soggiorno in Oregon: splendida.
THE FUTURE (1992)
Tratta dall’omonimo album del 1992, il brano deve in parte la sua fortuna al film “Natural born killer” [Assassini nati] di Oliver Stone che scelse questa canzone per la colonna sonora del suo film. Tra i registi che hanno usato brani di Cohen nei loro lavori troviamo: Rainer Fassbinder, Werner Herzog, Robert Altman e il francese Oliver Assayas.
I’M YOUR MAN (1988)
Leonard Cohen è uno dei cantautori più sofisticati espressi dalla scena musicale nella seconda metà del secolo scorso. Questa canzone definisce perfettamente i parametri estetici nei quali si muove la proposta musicale dello chansonnier canadese. L’andamento del brano, la sua semplicità apparente, il suo divenire immediatamente familiare sono elementi di una visione e pratica della musica veramente singolari, forse unici.
HALLELUJAH (1984)
Estratto come singolo dall’album “Various Positions” del 1984, questo pezzo partecipò sicuramente al successo dell’intero lavoro. Ad oggi, assieme a ‘Suzanne’, ‘Hallelujah’ è probabilmente la canzone più nota di Cohen e quella più ripresa da altri cantanti. La rilettura che ne fece Jeff Buckley nel 1994, decretò l’immediata affermazione del giovane cantante e del suo splendido album “Grace”.