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Legacypedia 4.0 – settimana #18

18 Jun 2015

AEROSMITH – TOYS IN THE ATTIC

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Quando un album sfiora i dieci milioni di copie vendute, siamo di fronte ad un evento che non può certo essere trascurato, né tantomeno minimizzato o considerato casuale. Se oltretutto la band che lo ha composto ed inciso deve da tempo combattere con una credibilità che una critica troppo frettolosa non vuole riconoscerle, allora, ottenere quei numeri di copie vendute sembra sempre di più appartenere alla sfera dei miracoli.

Con “Toys in the attic” gli Aerosmith, giunti al loro terzo album, vincono la scommessa con un mercato che li aveva sempre seguiti eppure mai premiati, almeno in maniera così evidente. Penalizzati da un continuo rifarsi dei critici a modelli di riferimento che citavano sempre e soprattutto i Rolling Stones, con commenti che giungevano, molto poco professionalmente, a segnalare anche la similitudine delle labbra di Mick Jagger con quelle di Steven Tyler, gli Aerosmith, incuranti di queste seccanti scocciature che indubbiamente li danneggiavano privandoli di una loro autonomia,  nei primi mesi del 1975 erano entrati negli studi di registrazione Record Plant con le idee molto chiare sul sound che volevano ottenere.

Come la loro tradizione, il loro approccio richiedeva, arrivano in sala con frammenti di brani da sviluppare, spezzoni da ricomporre, canzoni da catturare definitivamente e fissare su nastro una volta per tutte. Ricordiamo che siamo nei primi mesi del 1975 e che il prodotto finito apparirà in aprile, il mercato in quei giorni premia “Physicall Graffiti” dei Led Zeppelin, altro gruppo cui spesso Tyler e compagni vengono associati e paragonati. Ma il 1975 sarà anche l’anno degli Eagles con “One of these night”, di Bruce Springsteen con “Born to run”, dei Kiss che pubblicheranno “Alive”, anche se distanti formalmente dalla musica offerta dagli Aerosmith, quello sarà anche l’anno di “Blood on the tracks”, capolavoro assoluto di Bob Dylan e dei Pink Floyd tesi a doppiare il successo di “The dark side of the moon” con un altrettanto valido “Wish you were here”. Il competitor di “Toys in the attic”, almeno sulla carta, è “Physicall Graffiti” soprattutto perché i Led Zeppelin rientrano in un ambito musicale che la critica definisce hard rock se non erroneamente heavy metal. Gli Aerosmith con “Toys in the attic” hanno espresso un rock che torna alle sue origini, un rock che diverte, un rock leggero, un rock impeccabile, un rock che rispetta la struttura originaria, un rock che sa essere trascinante pur sapendosi adattare alla ballad. Chitarre, basso, batteria e una voce perfettamente in linea con le esigenze emotive ed emozionali che il rock richiede, addomesticano e domano il sacro, quanto selvaggio spirito di questa musica.

Il viaggio attraverso questo terzo lavoro degli Aerosmith inizia con il brano da cui l’album prende il nome: è un omaggio al rock’n’roll che cita vagamente gli anni ’50, rivedendoli e stimolando infine anche una certa nostalgia. Con ‘Uncle salty’  siamo a confronto con quella forma di rock che confina con il pop, comunque ottimo esempio di scrittura e soprattutto grandi potenzialità radiofoniche. Le chitarre sono le padrone assolute di ‘Adam’s applle’, il riff è basilare così come i cambi armonici, gli assolo si rifanno alla migliore tradizione rock, saper amministrare le chitarre ed il loro sound è d’altronde una delle capacità universalmente riconosciute a Joe Perry ed al suo compagno d’avventura Brad Whitford. Quarta traccia ‘Walk this way’, quella originale, senza ancora i Run DMC che la tratteranno nel 1986 in collaborazione la band e la catapulteranno al 4° posto in classifica. L’originale comunque non è certo da meno, raggiunse il 10° posto delle chart grazie ad una intrinseca modernità, ad un andamento funky trascinante. ‘Big ten inch record’ è un riuscito esercizio di stile su andatura shuffle, l’armonica offre un tocco di re-styling così come la sezione di fiati che aiuta il brano a muoversi in maniera sinuosa. ‘Sweet emotion’ è il primo singolo estratto dall’album: dopo una intro che molto rimanda ad atmosfere psichedeliche e che sembra palesemente voler citare ‘We love you’ dei Rolling Stones, il brano si sviluppa su un riff decisamente da inscrivere nello stile tipico di Joe Perry, riff che si alterna ipnoticamente alla parte iniziale simil Stones. Pezzo perfetto che, acutamente sfruttato come introduzione a “Toys in the attic”, ne aiutò e determinò l’affermarsi. ‘No more no more’ possiede un testo che Joe Perry più di una volta ha voluto segnalare perché a suo avviso rappresenta un perfetto esempio di come si possa raccontare la vita di una rock star o la vita on the road, cadenzandole su una musica appropriata, sostenuta per l’occasione da un piano boogie perfettamente inserito nel contesto dal veterano Scott Cushnie. ‘Round and round’ è firmata da Steven Tyler e dal chitarrista ritmico del gruppo, quel Brad Whitford che troppo spesso è rimasto imprigionato nell’ombra obiettivamente ingombrante di Joe Perry, anche se poi i più attenti tra gli estimatori del gruppo hanno sempre apprezzato la validità del suo prezioso apporto. Il pezzo è puro hard rock affidato a chitarre solide, ad un riff ciclico, ossessionante, ripetitivo fino al deliquio e all’estasi.

La chiusura di questo perfetto, equilibratissimo “Toys in the attic” è affidata a ‘You see me crying’ la ballata dell’album, il gioiello che si voleva porre come erede di ‘Dream on’, il brano apparso da “Aerosmith” del 1973 e che proprio sull’onda dell’enorme successo di “Toys in the attic” fu riproposto come singolo. Purtroppo, ‘You see me crying’, malgrado l’efficacia, la cantabilità ed un sapore che in molti definirono beatlesiano, non superò mai il gradimento che il pubblico decretò, sebbene tardivamente, a ‘Dream on’. ‘Dream on’ è un brano fantastico, immortale ballad scritta da un Tyler diciottenne che ancora nulla sapeva dello show businnes e dello scrivere canzoni. Brano senza età che Eminem nel 2002 campionò per ‘Sing for the moment’, rispolverando così un pezzo difficile da dimenticare. Pur non essendo nella track list di “Toys in the attic”, ‘Dream on’ entrò simbolicamente a far parte di quel periodo della storia band e non è certo casuale che fu associato a ‘Sweet emotion’, ‘Walk this way’ e ‘Toys in attic’, i singoli tratti dall’album, singoli che lo avevano degnamente promosso consegnandolo alle vette delle charts.

A suggellare questo richiamo/ritorno di ‘Dream on’ sarà Tyler stesso ribadendo come probabilmente il brano fosse inattuale quando fu originariamente pubblicato e come il pubblico inizialmente lo trascurò, malgrado una notevole esposizione radiofonica, per poi infine giungere ha premiarlo con riconoscimenti straordinari.


TOTO – TOTO

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Album d’esordio (auto-prodotto), per una band leggendaria e longeva (tuttora in attività, nonostante le diverse dipartite), entrato di diritto nella storia della musica popolare americana e mondiale.
Correva l’anno 1978 in quel di Los Angeles e alcuni “session men” di ottimo livello, che avevano suonato con chiunque, decisero di formare un super-gruppo per suonare la loro musica.
Trattasi di Steve Lukather (chitarra e voce), Bobby Kimball (voce solista), Steve e Jeff Porcaro (rispettivamente, tastiere e batteria), David Hungate (basso) e David Paich (tastiere e voce), questi ultimi tre, già autori e musicisti per Boz Scaggs nell’album di successo, Silk Degrees del 1976, un mélange ben riuscito di pop, rock e disco che già lasciava presagire la direzione che la band, che avrebbero fondato due anni dopo, avrebbe preso.

I media amarono i Toto sin dall’inizio, mentre la critica li stroncò assai arbitrariamente per la loro abilità a saper sì suonare e cantare, ma (secondo loro) in modo freddo e poco ispirato. Eddie Van Halen li definì, in quell’epoca, i migliori musicisti uniti e affiatati sul pianeta.

Insomma: la tecnica, la pulizia del suono e la professionalità di 6 elementi, capaci di produrre musica di alto livello e orecchiabile, senza scadere mai nel banale o nello scontato.
In ogni caso, da questo album scaturirono singoli di gran successo e di qualità come “Georgy Porgy” (traccia 2 cantata da Lukather con Cheryl Lynn ospite nell’inciso), “Hold The Line” (traccia 9), forse il brano più famoso dei Toto, “I’ll Supply The Love” (traccia 3) altro gioiello di rara fattura con accenti “disco”e Rockmaker (traccia 8), brano dal ritmo incalzante con il basso in grande spolvero e l’impeccabile solo di chitarra di Lukather.

L’album si apre con un brano strumentale (Child’s Anthem) di quasi 3 minuti, quasi come una sorta di auto-presentazione.
La traccia 4 è “Manuela Run”, uno dei brani con influenze più rock all’interno dell’album, cantato da David Paich.
A seguire “You Are The Flower”, altro brano che risente di influenze “disco” e che fu anche il brano che Bobby Kimball scrisse e portò alle audizioni che i Toto stavano facendo per trovare un cantante; il pezzo piacque così tanto che fu inserito senza esitazione alcuna nell’album.
L’assolo di Steve Lukather presente in questo brano è uno dei più ispirati mai stati scritti dal chitarrista.
Carica di ritmo e di potenza è invece “Girl Goodbye” (traccia 6), una marcia trionfale dall’intro possente, dove viene fuori imperiosamente la tecnica di tutti quanti gli strumentisti.
Degne di citazione sono anche la traccia 7 (Takin’ It Back), l’unica scritta e cantata da Steve Porcaro e l’ultima traccia (Angela) cantata da Lukather.

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