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Legacypedia 4.0 – settimana #24

30 Jul 2015

ROGER WATERS – AMUSED TO DEATH

amused to death

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Tra i membri fondatori dei mitici Pink Floyd, Roger Waters (in seguito fuoriuscitone) ha pubblicato anche degli album solisti e questo è il terzo, in ordine cronologico.Decisamente più vicino al mood e alle sonorità di dischi fondamentali dei Pink Floyd, come “The Dark Side Of The Moon” e “The Wall”, rispetto alle prime due prove soliste (rispettivamente “The Pros And Cons Of Hitchhiking” del 1984 e “Radio K.A.O.S.” del 1987), l’album vede Waters dare una grande prova di se soprattutto dal punta di vista vocale, ma anche in veste di co-produzione con Pat Leonard (produttore storico di Madonna).L’album fu registrato con una tecnologia innovativa per quei tempi: il Q-Sound, una sorta di surround virtuale che aumenta l’ampiezza dell’immagine sonora e rende più netta la sensazione che determinati suoni e voci provengano da dietro o dai lati rispetto all’ascoltatore.Non a caso il suono risulta splendido, quasi supremo: voce, strumenti e svariati effetti sonori (come nella miglior consuetudine pinkfloydiana) sono catturati e resi all’orecchio con un alto tasso qualitativo.Molteplici gli ospiti coinvolti, tra i quali spiccano: le chitarre soliste sopraffine di Jeff Beck (presente in ben 7 tracce su 12) e Steve Lukather (nelle tracce 3, 4  e 8); il basso di Randy Jackson (nelle tracce 2 e 9) e di John Patitucci (nella traccia 11); la batteria di Jeff Porcaro (nella traccia 13); le voci maschili di Don Henley (nella traccia 11) e femminili di N’Dea Davenport (nella traccia 2) e Rita Coolidge (nella traccia 14).Settantadue minuti di sublime denuncia sociale, rivestita da un manto sonoro meraviglioso.Non manca una citazione degli stessi Pink Floyd: l’inconfondibile nota di pianoforte che apriva Echoes, compare distintamente all’inizio di What God Wants, Part III.L’intero album è dedicato alla memoria del soldato inglese William “Bill” Hubbard, caduto in trincea durante la prima guerra mondiale.Sia in apertura che in chiusura del medesimo album è stata registrata la voce autentica di un suo commilitone, Il soldato Alf Razzell, che dopo tutti quegli anni, ancora porta con se il senso di colpa di aver dovuto abbandonare Bill nella terra di nessuno, per non morire egli stesso.Non a caso, i due soldati erano arruolati nei Reali Fucilieri come il padre di Waters, caduto in Italia, ad Anzio, nel 1944.L’album contiene inoltre numerose considerazioni sulla guerra e sull’atteggiamento dell’opinione pubblica e della società del tempo al riguardo.


GEORGE HARRISON – CONCERT FOR BANGLADESH

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E’ in più testi riportato che George Harrison, durante le riprese del secondo film dei Beatles, “Help!”, intravide sul set un sitar e che dopo alcuni giorni ne acquistò uno in un negozietto di Oxford Street. Con questo strumento dalle molte corde e di una inconsueta forma, si presentò in studio di registrazione mentre i suoi pard stavano incidendo le tracce per ‘Norwegian wood’ cercando idee per definire uno sfuggevole arrangiamento. Malgrado non sapesse come suonarlo, George riuscì comunque ad inserire nel brano una parte un po’ gracchiante per sitar risolvendo di fatto i problemi di arrangiamento. L’amore per la musica indiana, l’interesse per la spiritualità, lo studio del misticismo si svilupparono in lui in quel periodo e presto anche i Beatles furono catturati da questa passione. Adesso era necessario imparare a suonare lo strumento e su consiglio di alcuni amici musicisti Harrison prima scoprì e poi conobbe quello che sarebbe stato uno dei suoi maestri musicali nonché guida spirituale: Ravi Shankar.  Fu proprio Shankar, alcuni anni dopo il loro incontro e dopo la nascita di una amicizia divenuta presto sodalizio, ad informare Harrison, nel gennaio del 1971, della tragedia umanitaria che stava sconvolgendo il Bangladesh dopo che il piccolo stato-regione aveva dichiarato l’indipendenza dal Pakistan.
Migliaia di profughi stavano fuggendo in India per allontanarsi da una sanguinosa guerra, ma la capacità del governo indiano di accogliere i fuggitivi, assisterli, curarli e sfamarli erano minime se non inesistenti. Shankar suggerì ad Harrison l’idea di organizzare un concerto i cui proventi sarebbero stati devoluti in favore di quella popolazione disperata.

Harrison raccolse immediatamente l’invito del suo Maestro e si adoperò nelle settimane successive in una incessante attività volta a coinvolgere alcuni suoi amici musicisti in questo progetto. I primi a rifiutare l’invito furono John Lennon che avrebbe partecipato soltanto alla condizione che anche Yoko Ono fosse invitata nel ruolo di musicista e Paul McCartney che invece ricattò letteralmente Harrison chiedendogli, come contropartita alla sua adesione, di sostenere e convincere anche a Ringo e John ad appoggiare alcune modalità legali inerenti lo scioglimento dei Beatles da lui caldeggiate: in entrambe i casi l’ex chitarrista dei Beatles non accettò le richieste dei suoi ex partner.
Si resero invece subito disponibili Ringo Starr e poi Eric Clapton, Leon Russel, Billy Preston, Klaus Voormann e tanti altri musicisti tra i quali i Badfingers. Il sogno di Harrison era però quello di avere sul palco Bob Dylan, l’uomo che avrebbe dato credibilità, spessore e un’aura di nobiltà all’intero progetto. Un evento simile, motivato da esigenze umanitarie ed affidato ad un gruppo di musicisti di alto livello e grande notorietà, non era ancora mai stato organizzato e da molte parti si pensò subdolamente che il fine ultimo fosse l‘autopromozione, anche se in verità nessuno dei partecipanti ne aveva al momento necessità.Harrison era in vetta alle classifiche con il suo triplo album “All things must pass” pubblicato nel novembre del 1970 ed il brano ‘My sweet Lord’ era trasmesso abbondantemente dalle radio e poteva già essere considerato un successo mondiale. Bob Dylan si disse disponibile con riserva, non confermando difatto la sua partecipazione. L’evento venne fissato per domenica 1 agosto al Madison Square Garden di New York e per tentare di raccogliere più fondi per la loro causa, Harrison e Shankar pensarono a due esibizioni, una alle 14,30 e la successiva alle 20. Solo a concerto iniziato Harrison ebbe la conferma della partecipazione di Dylan vedendolo entrare sul palco accolto da un vero tripudio. Dopo l’introduzione di Harrison, il concerto era iniziato con una performance di Ravi Shankar accompagnato da alcuni musicisti indiani. Subito dopo George Harrison aveva occupato il palco per proporre alcuni brani dal suo recente album: ‘Wah-Wah’, ‘My sweet Lord’, ‘Awaiting on you’ delineavano una iniziale perfetta sintesi del percorso musicale che il musicista aveva intrapreso dopo lo scioglimento dei Beatles. Dopo essersi liberato dall’ingombrante presenze di John Lennon e Paul McCartney quello che per anni era stato il chitarrista solista dei Fab Four aveva infatti finalmente liberato la propria creatività conformandosi su uno stile molto personale, più ancorato al rock e comunque ad una proposta musicale non sperimentale ed involuta. Subito dopo i brani di Harrison, il palco prima accolse Billy Preston con il suo recente successo ‘That’s the way God planned it’ e poi Ringo Starr che seduto dietro la batteria cantava ‘It don’t come easy’, il brano pubblicato pochi mesi prima del Concert for the Bangladesh, frutto della sua collaborazione con George e considerato ad oggi una delle migliori canzoni scritte da Ringo, di certo quella che gli ha offerto maggiore visibilità e successo. Nel concerto continuano a susseguirsi esibizioni di vari musicisti. George torna sul palco con ‘Beware of darkness’ sempre tratta da suo recente triplo LP e rende incandescente il parterre con una versione semplicemente grandiosa della beatlesiana ‘While my guitar gently weeps’, nell’assolo ritroviamola la fluidità unica della chitarra di Eric Clapton già presente nella versione ‘white album’. Subito dopo Leon Russel si confronta con i Rolling Stones eseguendo una densissima, trascinante ‘Jumpin’ Jack flash’, il chitarrista Don Preston dopo un breve assolo trasporta il pezzo di Jagger e Richards verso le note di ‘Young Blood’ dei Coasters, il riuscitissimo medley recupera poi nel finale il riff del brano degli Stones.
L’apice raggiunto viene di nuovo sovrastato da un Harrison che torna sul palco con uno dei suoi brani più conosciuti del periodo Beatles, ‘Here comes the sun’, ma ancora non è finita, infatti terminata la sua esibizione Harrison introduce Bob Dylan, ascoltando quello che oggi è un doppio CD si può valutare la straordinaria emozionale reazione del pubblico alla presentazione di Harrison. Dylan canta ‘A hard rain’s a-gonna fall’, ‘It takes a lot to laugh/It takes a train to cry’, Blowin’ in the wind’, ‘ Mr. Tambourine man’ e la splendida ‘Just like a woman’ (nell’edizione rimasterizzata in CD del 2005 troviamo anche, come additional track, ‘Love minus zero/no limit’). L’esibizione di Dylan è tra le sue migliori, l’effetto voluto da Harrison è stato raggiunto, il pubblico è letteralmente impazzito, il Madison Square Garden è pieno in ogni suo spazio in entrambe le performance che subito dopo l’esibizione di Dylan prevedono ancora George con la sua beatlesiana, incantevole ‘Something’, riconosciuta da Frank Sinatra come una delle migliori canzoni d’amore mai scritte e dallo stesso stesso The Voice interpretata malgrado detestasse i Beatles. Il gran finale è affidato sempre ad Harrison che per l’occasione ha scritto una canzone intitolata ‘Bangla desh’, pubblicata come 45 giri il mese precedente al concerto. La parte artistica del progetto aveva superato ampiamente la prova, quella economica aveva superato ogni previsione, purtroppo il ricavato del concerto, del triplo LP semplicemente titolato “Concert for the Bangla Desh’ (l’edizione in CD del 2005 porta in copertina la scritta “Concert for the Bangla Desh – George Harrison and friends) furono bloccati per moltissimi anni per controversie con l’etichetta e per problemi fiscali. Si è comunque calcolato che il concerto mosse, a lungo termine, una cifra pari a 14 milioni di dollari, aprendo la strada anche a simili iniziative sviluppatesi negli anni.

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