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Legacypedia 4.0 – settimana #27

20 Aug 2015

KASABIAN – KASABIAN

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La scena indipendente inglese degli anni ’90 sviluppa  un movimento musicale   dove confluiscono sperimentazioni ed esperienze precedenti provenienti da città importanti per la musica anglosassone, come Manchester , Liverpool, le cui sonorità si rifanno agli anni 60 e 70,  in una commistione di influenze pop, rock, underground, new wave, psichedeliche  e glam . I riferimenti culturali  e testuali prettamente britannici parlano   alla classe operaia, i temi sono  la rabbia e il disagio sociale e personale,l’impegno etico, la libertà,la ribellione, la denuncia  . Questo discorso è portato avanti prevalentemente dalle band, e se i precursori sono per molti i “Suede”, il merito di aver portato questo genere sotto i riflettori di un pubblico ben più ampio e di oltremanica è dato ai “Blur” e agli “Oasis”.

Small faces, Beatles, Who, David Bowie sono solo alcuni degli ispiratori musicali di questo movimento, che nel tempo si è rinnovato fino alle nuove forme del  post brit dei giorni nostri, e a gruppi come  i Kasabian. 

Tom Mehigan al microfono, Chris Edwards al basso, successivamente Ian Matthews alla batteria , e soprattutto Tom Pizzorno  che suona il  basso e soprattutto  scrive tutti i brani, aiutato da Cristopher Karloff  , all’occorrenza ai  synth, tastiere, drum machine  computer , esordiscono nel 2004 con “Kasabian”.

Il disco è ambizioso, denso di  fermenti musicali , ricco di proposte, e spazia dall’elettronica al rock progressive. Sperimentale, ipnotico, attinge dalla psichedelia dei ‘60s e 70’s più ispirati, da suggestioni beatlesiane, e da altri gruppi nati dallo stesso humus sociale ed artistico. 

La prima traccia, “Club Foot”, è subito un assaggio di quello che dobbiamo aspettarci dal gruppo di Leicester. E’ un brano vibrante, oscuro, massiccio, così come il testo, che presenta scenari potenti e visionari, trasmettendo  una forte energia. Non è infatti un caso che sia stato scelto come colonna sonora di videogiochi e film futuristi .

“Processed beats” poggia su un bel riff di basso , i samples, i synth e le chitarre 

si rincorrono in un vortice irresistibile. Tom Mehigan scandisce il testo con stringata aggressività.

Il brano, come tutto il lavoro, si ferma, riprende, offre continuamente nuovi spunti, incuriosisce, si ferma, riparte, non molla.

Anche “Reason is Treason” è un brano celeberrimo, usato per il gioco per Playstation “GranTurismo”e per la colonna sonora di “Lara Croft Tomb Rider: The cradle of life”, incarnando alla perfezione lo stile dell’eroina del videogioco: scattante, eccitante, fisica e cerebrale allo stesso tempo. 

Sequencer, synth, drum machine: arriva “I.D”, quarta traccia dell’album, che evoca spazi metafisici fino all’ingresso del basso, delle chitarre e della voce, che ci trascina in territori più terreni, ma non per questo meno misteriosi, in cui perdersi. 

“Orange” è un interludio, un coro di angeli che ci porta a “L.S.F”, acronimo di Lost Soul Forever. Un bel pezzo, rock alternative in cui in qualche modo sono presenti anche influssi dei vicini Oasis.. In questo brano le bacchette passano a Daniel R. Martin, che riprenderà il timone in “Cut Off”.

“Running Battle” è scandito dal suono dell’omnichord suonato da Karloff. L’aria che si respira è obliqua, il brano è rarefatto, come sospeso sotto un cielo post atomico, “Test transmission” sperimenta un rock definito piu progressive, le claps sostengono il ritornello insieme ai sintetizzatori e alle chitarre, creando un’aria di positivo straniamento, un caleidoscopio di sensazioni, che con il finale tagliato all’improvviso ti lascia cadere in vuoto improvviso.

E dopo un altro interludio, il romantico e stellare “Pinch Roller”, si torna al rock psichedelico fatto di sequencer, autoreverse, chitarre e basso martellante. Tom Mehigan  sciorina immagini di scienziati fatti di L.S.D, scimmie che nascondono segreti e spie perse nella folla in questa bella traccia che non smette di rendersi interessante minuto dopo minuto. 

“Butcher blues” non è un blues ma  vanta un bel giro di basso ed una atmosfera ancora una volta in forte debito con gli anni ’70 made in U.K, seppure fortemente rivisitati con occhio intelligente, geniale.

“Ovary  stripe” è una cavalcata western in un futuro oscurato da nebbie inconoscibili. Il brano, strumentale, viaggia sostenuto dalla ricca programmazione di synth, tastiere, e ritmicamente scandito da basso e chitarre che non danno tregua, trascinano e ipnotizzano l’ascoltatore invitandolo a muoversi e a lasciare andare la testa. 

“U Boat” chiude l’album, un grande esordio per questa band, che  continuerà a stupire e raccogliere consensi dal pubblico e ottenendo infine anche il plauso della critica mondiale. 

 


 

 

JEFFERSON AIRPLANE – AFTER BATHING

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Il 27 novembre del 1967 viene pubblicato su etichetta RCA un nuovo album dei Jefferson Airplain; il precedente, “Surrealistic pillow”, era stato un successo di caratura internazionale, conteneva due brani divenuti classici del gruppo e della pop music: ‘Somebody to love’ e ‘White rabbit’ ed era stato accostato da alcuni critici al “Sgt. Pepper’s lonely hearts club band” dei Beatles, come migliore album espresso nel periodo della summer of love. Il nuovo lavoro è invece molto più sperimentale, la vocazione rock e rock-blues della band viene abilmente mimetizzata, l’album non contiene brani da classifica. Con “After bathing at Baxter’s” i Jefferson Airplane hanno rivendicato la propria autonomia espressiva voltando volutamente le spalle al mercato, quasi a voler dichiarare come il gruppo non fosse una fabbrica di hit, ma un ensamble disposto anche a correre rischi al fine di preservare e rivendicare l’autonomia di convinzioni artistiche che i componenti del gruppo condividevano pur provenendo da background dissimili. La ricezione dell’album vide schierarsi due blocchi in teoria comunicanti: da un lato la stampa esaltò di “After bathing at Baxter’s” per la crudezza, per la produzione e perché il processo creativo e realizzativo non si era piegato a soluzioni facili e comode, dall’altro il pubblico, a differenza dell’album precedente, negò il proprio favore ad un lavoro che partiva dalle premesse sopra descritte. “After bathing at Baxter’s” vendette molto di meno di “Surrealistic pillow”  non avendo soprattutto un brano di punta che le radio potessero sfruttare come lancio. Ci furono svariate critiche soprattutto all’interno dell’etichetta che li rappresentava; la band fu accusata di autoindulgenza e scarsa lungimiranza, dimenticando però le condizioni ambientali e le pressioni sociali espresse nel periodo durante il quale il disco fu inciso, in quel 1967 ancora oggi ricordato per quel movimento hippie che purtroppo deluse le iniziali prospettive, per l’uso esagerato di droghe e soprattutto dell’LSD che certo lucidezza ed analisi critiche non favoriva. Alcuni anni dopo, esattamente nel 1975, uno dei nostri critici più attenti e sensibili, Riccardo Bertoncelli, scriverà nel suo libro titolato “Un sogno americano”, una breve rappresentazione di “After bathing at Baxter’s” che illumina perfettamente e si conforma con l’atmosfera psichedelica riuscendo quasi a materializzarla:

After the bathing at Baxter’s”, al culmine della storia californiana, ci ferma il respiro per quaranta minuti, regalandoci il più bel sogno in technicolor di quei tempi. Le invenzioni si susseguono, ed è impossibile fermarle tutte: ma dunque, si gettano bombe molotov nella geometria dei pezzi (qui è tutto confuso, enigmatico, lunghissimi “numeri” si intrecciano e poi spariscono – ci sono cinque parti e dodici brani e milleottocento idee), si strappano i visceri agli strumenti (Spare Chaynge, Jorma Kaukonen scende lungo l’esofago di Jimi…), si evocano morti vivi (Lenny Bruce in Rejoyce) e vivi già morti (lo Human be-in) in quel capolavoro che è Saturday Afternoon), si cerca una musica capace di fondere a tremila gradi in fondo alla testa. L’allucinazione ha fatto le sue vittime, ma anche il sesso e il ritmo possono raccontare di aver detto la loro: e in un simile sconquasso di “cose diverse” (Grace suona un flauto dolcissimo e poi intona rosari d’Arabia, e poi strilla come una qualsiasi battona del porto…) dire di uno stile fatto e finito è sinceramente impossibile, – non stiamo certo parlandi di beat!”.

Inciso tra il giugno e l’ottobre del 1967 “After the bathing at Baxter’s” risentiva soprattutto dell’uso da parte dei componenti della band dell’LSD e di altre droghe più o meno leggere, l’immersione poi nella stagione psichedelica con i suoi eccessi e i suoi proclami di libertà portava a superare, ignorare e condannare tabù di ogni genere. L’album parte da queste premesse: oggi potrà sembrare ingenuo, leggero, la band potrà esser giudicata accondiscendente ed autocelebrativa, troppo immersa nella realtà alternativa e poco lucida, eppure riascoltare questo lavoro è un esercizio assolutamente necessario e consigliabile. E’ come sfogliare un compendio che debba raccontare, illuminare e farci immergere in un periodo storico decisamente singolare. A differenza di altri album dei Jefferson Airplay l’invecchiamento di “After the bathing at Baxter’s” è stato meno traumatico, le zone d’ombra sono rimaste, alcune ingenuità sono ancora avvertibili, ma c’è una onestà, una verità di fondo da ricuperare estudiare. Brani come ‘rejoyce’, scritto da Grace Slick, ed apertamente riferito a James Joyce oppure la ballata ‘Martha’ di Paul Kantner o il pezzo che fu scelto come 45 giri ‘The ballad of you & me & Pooneil’ ancora di Kantner, posseggono ancora una loro dignità e modernità. ‘rejoyce’ può essere ad esempio ricondotta ad un ambiente musicale che senza nessun tipo di eresia cita la prima Bjork, un altro brano ‘A small package of value will come to you, shortly’ è pura improvvisazione, puro divertissment, pura anarchia musicale eppure ancora oggi offre la perfetta dimensione di quei giorni, di quei suoni e frastuoni, di quei colori ed anche odori, un po’ come fece quel criticatissimo album dei Rolling Stones, “Their satanic majesties request”, pubblicato a pochi giorni di distanza da quello dei Jefferson Airplane e che sembra ancora esserne l’immagine riflessa in uno specchio. La scena di San Francisco e quella londinese differivano seppur non profondamente ed infatti l’accostamento forse un po’ ardito tra questi due album ne tiene onestamente ed indubbiamente conto, rimane la sensazione, e la storia sembra ormai confermarlo, che c’era una comune attitudine ad esasperare delle forme, degli stili ben codificati tentando una loro dilatazione. Se per gli Stones quel disco rappresenterà una vera e propria anomalia all’interno della loro discografia, per i Jefferson Airplaine “After the bathing at Baxter’s” altro non sarà che un capitolo necessario e certo da non dimenticare o sottovalutare, un lavoro che individuerà ed indicherà altre strade e soluzioni che insieme parteciperanno alla definizione di un progetto musicale ancorato alla psichedelia, alla summe of love, al rock alternativo, progetto che comunque condurrà la band a esibirsi a Woodstock, al Monterey Pop Festival, all’isola di Wight, al concerto tragico di Altamont, rendendola icona della seconda parte dei ’60.

 

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