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Legacypedia 4.0 – settimana #7

26 Mar 2015

DALLA/DE GREGORI – BANANA REPUBLIC

banana republic

Tutto ebbe inizio dal duetto “Ma come fanno i marinai” . Dal successo del brano nasce l’idea di fare un tour insieme. La risposta del pubblico è strepitosa, 50.000 persone a sera riempiono gli stadi di tutta Italia. Si registrano i live. . In corsa,
durante lo svolgimento dei concerti, si decide di far uscire l’album. Si scelgono 10 tracce tra le 28 che ogni sera si eseguono sul palco, e nasce “Banana Republic”, un disco che è entrato nella storia della musica cantautoriale italiana .
A vederli , così diversi, questi due musicisti, questi due artisti, poeti, sembravano non entrarci nulla l’uno nella storia dell’altro.
Il comunicativo, travolgente, imprevedibile Lucio e il riservato, ombroso e timido Francesco, una “strana coppia”. Chissà. E invece, funzionò. Fu alchimia naturale, amore artistico, rispetto ed interesse per il lavoro dell’altro.
Durante il concerto, quando non cantavano insieme, nessuno dei due lasciava il palco. Restavano, invece, e condividevano la musica , suonando, vivendo il momento.
Gli arrangiamenti furono curati da Ron, che suonava la chitarra e il pianoforte.. Gli altri erano i Cyan e musicisti come Curreri, Portera&co., che formeranno poi gli Stadio.
Apre l’album “Banana Republic”, cover di un brano di Steve Goodman a cui De Gregori aggiunse un testo agrodolce, ironico, divertente, che racconta di bancarottieri in fuga ai Tropici, un tema che non passerà mai di moda. .
L’aria che si respira è rilassata, solare. De Gregori comincia a raccontare, Dalla si aggrega .

L’andamento è caraibico, si muove come le onde del mare, laggiù nel paese dei Tropici.
“Gelato al limone” è una canzone di Paolo Conte, che il duo arrangia a mo’ di festoso rock and roll, alternando le voci che si uniscono nel ritornello . Paolo Conte registrerà questo bellissimo brano lo stesso anno, subito dopo .
Testo esistenzialista, colto, pieno di immagini significative che si fondono nel “gelato al limone” ripetuto ossessivamente nei ritornelli.
“La canzone d’Orlando” è un brano tratto dall’album “Il giorno aveva 5 teste”, del 1973, che segna l’inizio della collaborazione artistica di Dalla col poeta Roberto Roversi. “Nevica nella mia mano”, cantano Francesco e Lucio, e
cantano della vita che è andata via epica, furiosa, veloce. L’atmosfera è lunare e raccolta.
Continua la poesia con la ballad capolavoro di De Gregori “Bufalo Bill”. Canta il cantautore romano, e si mette nei panni del cacciatore, il mito Bufalo Bill, costretto ad esibirsi al circo per sbarcare il lunario, simbolo del declino dell’America
del Far West che lascia spazio all’america dei denti bianchissimi e dell’esagerato ottimismo. Ritmi e sonorità country per raccontare questa storia si alternano alla blues ballad.
E’ il turno di Lucio Dalla che introduce “Piazza Grande” con quegli strani fraseggi ritmici così caratteristici, che non sono scat, non sono rap, sono i fraseggi di Dalla, folli, imprevedibili e geniali come lui.
La storia dedicata a un senzatetto per questa canzone piena di poesia, delicata e sospesa , con cui Dalla aveva partecipato al Festival di Sanremo nel 1972, piazzandosi all’ottavo posto. Un brano senza tempo.
La coppia si riunisce per “4/3/1943”, arrangiata un po’ a reggae, la celeberrima storia della ragazza madre che chiamò suo figlio Gesù Bambino. I due sono divertiti, liberi, cantano con l’istinto e la naturalezza propria di chi l’arte ce l’ha nel
sangue dalla nascita. Con questo brano Dalla arrivò terzo a Sanremo nel 1971.
Una bella introduzione per piano e chitarra e arriva “Santa Lucia”, che Francesco De Gregori canta come una preghiera semplice. Uno sguardo sull’umanità dolente, su chi “ha perduto le ali, “ e per i poveri , i bambini stonati che ridono e
vanno incontro alla vita. Momento commovente, introspettivo che unisce la folla che ascolta in un sol cuore. Si cambia tono con “Quattro cani”, che si dice poi siano De Gregori, Venditti, Patty Pravo e il produttore e compositore
Lilli Greco. Bellissima descrizione di un’amicizia sghimbescia che lascia quasi inalterato l’arrangiamento originale. Memorabili i vocalizzi estemporanei e quasi lirici, divertiti divertenti di Lucio Dalla, che accompagna col clarinetto.
Finale memorabile.
Il breve classico napoletano “Addio a Napoli” cantato dal duetto introduce il brano che chiude questo album imperdibile, “Ma come fanno i marinai”Brano scritto da De Gregori che chiese la partecipazione di Dalla, il quale
impreziosì il brano con il suo clarino e con la sua voce e il suo spirito.

Come fanno i marinai, a baciarsi tra di loro, e a rimanere veri uomini, però. Arriva il successo, parte il tour……

 


 

 

LEONARD COHEN – SONGS OF LEONARD COHEN

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Seguendo i suoi insegnamenti, parleremo di “Songs of Leonard Cohen” senza sprecare parole inutili, cercando di rendere l’idea della profonda bellezza di questa opera – opera prima – del cantautore canadese pubblicata nel 1967.
Un disco uscito in sordina che non ha mai smesso di conquistare pubblico, di generazione in generazione, e che è diventato un classico della musica folk cantautoriale e della poesia.
“Suzanne” , che apre l’album, è una ballata. Questa song, come tutte quelle che compongono quest’opera, ha una struttura scarna, pochi strumenti, la voce è quieta, gentile, il tono composto. Le parole mostrano mondi e immagini di
una profondità e bellezza stupefacenti. “Suzanne”, dedicata ad una donna reale, un’amica, Suzanne Verdal, moglie dello scultore Vallaincourt, è anche un’occasione per parlare della donna come immagine salvifica, ideale. Forse una pazza, una vagabonda, ma colei che ti capirà, ti salverà. Cohen usa riferimenti biblici per spiegare le sue sensazioni,e questa scelta caratterizza la sua produzione, e la voce si muove tra la chitarra classica, cori delicati femminili e scarni violini.
In “Master song” predominano i fiati, e Cohen usa il dualismo, il binomio e il contrasto Schiavo/Padrone per raccontare il mistero dell’amore e della vita. Buio e luce spiegati con un linguaggio visionario, onirico, religioso, crudele, intimistico,
mentre in “Winter lady ” il flauto accompagna il delicato andamento della chitarra : Winter lady è una sconosciuta viaggiatrice che racchiude in sé il mistero del dolore, della vita, dell’amore, della lontananza e del ricordo.
Un velocissimo arpeggio di chitarra classica (che ispirerà De Andrè) e che sarà cifra stilistica di Cohen accompagna “The stranger “. Ancora riferimenti biblici sul filo che sostiene il rapporto tra uomo e donna, eterno, profondo, infinitamente
debole, nella vita vista come viaggio.
Una gradevolissima, delicata, intimistica “Sister of mercy” per raccontare delle prostitute. Sospese a metà tra cielo e terra, esse sono portatrici di calma, leniscono il dolore, ascoltano e con i loro corpi ed i loro silenzi curano le ferite
dell’anima.
Più sostenuta nel ritmo “So long, Marianne”, in cui chitarre violini e percussioni suonano questa serenata d’addio che ha un testo bellissimo . Ancora religione, e amore sensuale, e solitudine per un addio per ricominciare e mai
dimenticare.
Uno scarno accompagnamento di vago sapore Country per la ballad “Hey, that’s no way to say goodbye”. Immagini solari ed intima poesia in musica per raccontare l’amore, il distacco inevitabile perchè la vita va via, come il mare che
non si ferma. Piccoli contrappunti vocali femminili come coro di angeli accompagnano la voce diCohen. “Stories of the street” presenta alle nostre orecchie immagini dure , essenziali, drammatiche. Stile asciutto scarno
anche per “Teachers”, che volando sulle velocissime note della chitarra classica parla di umanità confusa, smarrita, di libertà, solitudine e morte.
Le note si rilassano nell’onirico “One of us cannot be wrong”.Parole bellissime, delicate di peccato e redenzione, di perdita e solitudine.
Cohen confeziona e regala a tutti noi un’opera intima che scava in ognuno di noi e ci accomuna in un’emozione che è quella della consapevolezza di vivere, amare, cadere, perdere restando uomini , “Meravigliosi perdenti”.

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